radice
s. f. [lat. radix -īcis]. – 1. a. In botanica, uno dei tre organi caratteristici delle cormofite, che manca in generale di clorofilla e, a differenza del fusto, non porta le foglie: si forma nell’embrione dove prende il nome di radichetta, e si sviluppa penetrando nel suolo per il suo geotropismo positivo; ha la funzione di fissare la pianta al substrato (fatta eccezione delle piante acquatiche galleggianti), di assorbire l’acqua e i nutrienti in essa disciolti, di accumulare sostanze di riserva, in partic. nelle radici tuberizzate. Il suo sviluppo in lunghezza è dovuto all’attività di cellule meristematiche apicali, protette dalla caliptra o cuffia o pileoriza (la cui gelatinizzazione agevola la penetrazione della radice nel suolo); segue una regione di accrescimento in lunghezza e quindi una regione pilifera, coperta di peli radicali destinati a facilitare l’assorbimento; nell’interno (cilindro centrale) decorrono i fasci fibro-vascolari che si collegano con quelli del fusto nella regione del colletto. Similmente a quanto si osserva nel fusto, anche nella radice si può avere una struttura primaria o secondaria. In relazione all’origine, alla morfologia, ecc., le radici si distinguono in: r. principale o r. primaria, quella che si sviluppa dalla radichetta dell’embrione; r. secondaria, ogni radice che prende origine direttamente da quella principale; r. laterale, qualsiasi radice che si sviluppa ai lati di quella principale; r. avventizie, quelle che si formano in sedi improprie (per es., sulle foglie o sui fusti); r. fittonata o a fittone (v. fittone), la radice principale che si sviluppa prevalendo, soprattutto in spessore, sulle laterali; r. fascicolate, le radici sottili, tutte simili per lunghezza e spessore, di solito riunite in un fascio più o meno lasso (come, per es., le radici avventizie delle graminacee); r. tuberizzate, quelle ingrossate, come un tubero, per accumulo di sostanze di riserva, tipicamente in asfodelo, dalia, ecc. (v. tubero e tuberizzazione); r. epigee o aeree, quelle che si sviluppano al di sopra del suolo (v. pneumatoforo) o sospese nell’aria, come quelle delle orchidee epifite. Con riguardo all’utilizzazione: r. commestibili, usate per l’alimentazione umana (carota, ecc.); r. da foraggio, quelle, come la barbabietola, che servono da foraggio. Scherz., mettere le r. al sole, di una pianta, sradicarla dal terreno, abbatterla: quattro contadini, con le zappe in aria, che principiavano a scalzar la pianta, per metterle le r. al sole (Manzoni). b. Nel linguaggio com., la parola è spesso usata invece di rizoma (per es., radice di gramigna); inoltre, spec. nell’uso tosc., è sinon. di ramolaccio e di ravanello. c. Nell’uso commerciale, r. brasiliana, sinon. di ipecacuana; r. colubrina o viperina, sinon. di r. di serpentaria; r. gialla, sinon. di curcuma. 2. estens. e fig. a. Di una montagna, la parte più bassa, i piedi: a le radici Del gran monte Gargano (Caro); meno com., le r. di una torre, di un castello, ecc., le fondamenta. b. In anatomia (e a volte anche nell’uso comune), il termine può indicare sia la porzione d’impianto di un organo in continuo accrescimento (r. del pelo, r. dell’unghia), sia l’elemento morfologico che dà fissità a un organo (r. del dente, della lingua) o che ne costituisce il tratto iniziale (r. di un nervo), sia infine, con criterio funzionale, organi che possono essere considerati origine di altri (r. della vena porta, le vene splenica, mesenterica superiore e mesenterica inferiore). Radici dei nervi, i tronchi nervosi in diretto rapporto con il midollo spinale, costituiti da fibre nervose che, con modalità varia a seconda si tratti dei nervi spinali o dei nervi cranici, penetrano nel sistema nervoso centrale (fibre sensitive delle radici posteriori) o ne emergono (fibre motrici delle radici anteriori). Con sign. più generico, nell’uso com. e letter.: la r. di un callo; arrossì fino alla r. dei capelli; da la radice Sveller si sente il cor dal lato manco (Ariosto); Il colse Penelèo sotto le ciglia Dell’occhio alla r. (V. Monti). c. Nella filosofia antica, principio o causa materiale di tutte le cose: così per Empedocle sono radici i quattro elementi fondamentali della realtà (terra, acqua, aria, fuoco). Più genericam., nell’uso com. e letter., principio, origine, causa: la r. del male; colpire il vizio alla r.; andare alla r. delle cose, di una questione; alla r. delle lotte cittadine in Firenze antica era l’inimicizia di alcune famiglie; O del dolce mio mal prima radice (Petrarca). In antitesi con frutto (inteso come conseguenza, effetto), nel proverbio le r. della virtù sono amare, i frutti dolci. d. In geologia strutturale, territorio di origine, accertato o ipotizzato, di una coltre alloctona di ricoprimento trasportata tettonicamente. In geotettonica, r. di un orogene, la porzione di materiale crostale sialico risucchiato in profondità nella zona assiale dell’orogene stesso, sino a una profondità superiore a quella media della litosfera (60-65 km). e. Nell’uso letter. o elevato, progenitore, capostipite o genitore (talora, entrambi i genitori o progenitori, collettivamente): Qui fu innocente l’umana r. (Dante), Adamo ed Eva; a questo sign. traslato contribuisce anche la tradizionale raffigurazione della genealogia mediante la figura di un albero, a cui è fatto talora un esplicito riferimento analogico: O fronda mia in che io compiacemmi Pur aspettando, io fui la tua r. (Dante), parole di Cacciaguida, trisavolo del poeta. 3. Locuz. più com., in senso proprio e fig.: mettere radice o radici, o le r., di piante, affondare nel terreno e quindi prosperare; in senso fig., di usi, costumi, idee, dottrine, penetrare e diffondersi profondamente, stabilirsi con solidità; anche di sentimenti: la superbia, il dubbio, il sospetto aveva messo radici nel suo cuore (e analogam.: la fede, la virtù, oppure il vizio, ecc., aveva salde r. in lui, nel suo cuore, nell’animo suo); di persona, piantare, mettere le r. in un luogo, stabilirvisi definitivamente, non andarsene più: la sua famiglia era giunta parecchi anni prima nel paese e vi aveva ormai messo radici; l’ospite pareva avere messo radici in casa loro; strappare, svellere, estirpare dalle r., propr. di piante o anche di denti; in senso fig., distruggere, eliminare completamente, soprattutto un male, un vizio, o convinzioni, pregiudizî, ecc. 4. In linguistica, elemento costituito da uno o più fonemi, non ulteriormente analizzabile né riducibile morfologicamente e semanticamente, presente come nucleo concettuale centrale in tutte le parole di una stessa famiglia etimologica o anche, caso più raro, in una parola isolata: così, in italiano, nella famiglia di parole correre, corrente, corridore, corriere, corsa, corsaro, córso, si può isolare una radice corr-/cors-, cui corrisponde sul piano sincronico in francese la radice cour-/cours- della famiglia courir, courant, coureur, courrier, course, cours, e per l’una e per l’altra si può risalire, sul piano diacronico, alla radice latina cŭrr- di currere, currus, curriculum, cursus, e di qui ricostruire, per mezzo della comparazione con altre lingue indoeuropee, una comune radice più antica *kers-. Le radici sono individuabili in tutte le lingue flessive (come quelle indoeuropee e semitiche) e anche in quelle agglutinanti, ma non nelle lingue monosillabiche; nelle lingue indoeuropee le radici possono essere monosillabiche o bisillabiche, e possono variare per l’azione dell’apofonia (v.) qualitativa e quantitativa; nelle lingue semitiche le radici sono normalmente costituite da un gruppo di tre consonanti (v. triconsonantismo). 5. In matematica: a. Radice di indice n (o n-ma: leggi ennesima) di un numero p (detto radicando) è il numero q che, elevato a tale indice, dà come risultato p; si scrive q = n√¯p; le radici per n pari a 2 e 3 si dicono anche, rispettivam., r. quadrate e r. cubiche (per es., la radice quadrata di 9 è 3, essendo 32 = 9; la radice cubica di 8 è 2, essendo 23 = 8). Nel caso delle radici quadrate si usa omettere l’indice e si scrive √¯p . Estrazione di radice, l’operazione che fa passare da un numero p alla sua radice n-ma q: è quindi operazione inversa della elevazione alla n-ma potenza (qn = p). b. Radice di un’equazione (in una sola incognita), soluzione dell’equazione, cioè ogni numero (o espressione letterale) che, sostituito all’incognita, muta l’equazione in una identità; così, per es., i numeri 2 e 3 sono le radici dell’equazione x2 − 5x + 6 = 0. Nel caso dell’equazione binomia xn = a le radici non sono altro che le radici n-me di a (in questo caso il sign. matem. b di radice coincide col sign. a, e si può dunque ritenere che il sign. b sia un’estensione di a). Dim. radicèlla, radicina, e più com. radicétta; accr. radicióna (tutti quasi esclusivam. in senso proprio).