rammaricare
(poet. rammarcare, ant. ramaricare) v. tr. [der. di amaro, con -m- rafforzato per accostamento ai composti con a-1, ra-; cfr. lat. tardo amaricare «rendere amaro; esasperare»] (io rammàrico, tu rammàrichi, ecc.). – 1. Amareggiare, cagionare dispiacere, afflizione: non rammaricarmi con le tue inutili lamentele; non le aveva detto tutto: questo la rammaricava fino a bruciarle l’anima (Enzo Siciliano); più spesso con sogg. astratto: mi rammarica il fatto di non aver provveduto prima, il pensiero di non averlo aiutato quando potevo. 2. Più comune l’intr. pron. rammaricarsi, affliggersi, sentire dispiacere, rincrescimento; esprimere la propria afflizione con lamentele continue, e, più genericam., dolersi, lamentarsi: si rammaricava dentro di sé per averla accusata ingiustamente; non fa che rammaricarsi dell’accaduto; è inutile rammaricarsi, non c’è più niente da fare; E qual esce di cuor che si rammarca, Tal voce uscì del cielo ... (Dante); se altro avvenisse che non vi piacesse, voi non v’abbiate a ramaricar di me (Boccaccio). ◆ Part. pass. rammaricato, anche come agg., spec. in unione col verbo essere, col senso di amareggiato, addolorato: sono grandemente rammaricato del mio scatto d’ira; è rammaricato che sia andata a finire così; siamo rammaricati di non potervi aiutare.