recidere
recìdere (ant. ricìdere) v. tr. [dal lat. recīdĕre, comp. di re- e caedĕre «tagliare»] (pass. rem. reciṡi, recidésti, reciṡe, ecc.; part. pass. reciṡo), letter. – 1. a. Tagliare staccando, spec. con taglio secco e netto: r. un ramo, un arbusto; r. un braccio, una gamba, un dito; r. il gambo di un fiore, un filo d’erba, uno spago; si è ucciso recidendosi le vene; in usi fig., riferito a sentimenti, passioni, vizî e sim., liberarsene decisamente: Quel ch’Amor meco parla Sol mi riten ch’io non recida il nodo (Petrarca); r. una relazione peccaminosa; con altro senso fig.: Pur che ’l voler nonpossa non ricida (Dante), purché l’impossibilità non tronchi, non renda inutile la tua volontà. b. ant. Attraversare in linea retta: Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva (Dante). 2. intr. pron., non com. Rompersi, tranciarsi, di stoffe o di altri tessuti, o anche della pelle, nelle pieghe: la seta si recide facilmente; la pelle delicata talora si recide per il freddo. ◆ Il part. pass. reciṡo, anche se usato in funzione attributiva, conserva in genere valore verbale: colpito a morte, il ragazzo cadde come un fiore reciso; in floricoltura, fiori recisi, fiori freschi che si commerciano subito dopo essere stati tagliati dalla pianta (rose, garofani, crisantemi, gladioli, e altre specie da serra, come orchidee, anturî, ecc.); in araldica, attributo di parti del corpo umano o animale separate con un taglio netto dal corpo, e anche dell’albero troncato e senza radici. Per un’accezione fig. partic., e con uso di agg., v. reciso.