residuo
resìduo agg. e s. m. [dal lat. residuus, der. di residere «rimanere indietro», comp. di re- e sedere, propr. «stare seduti»]. – 1. agg. Che rimane, che avanza: somma, quantità r.; debiti, crediti r.; alterazioni patologiche residue. 2. s. m. Ciò che avanza, che resta: un r. di cassa; c’è un r. di vino nel fiasco; e fig.: un r. di pudore, di onestà; l’analisi è stata compiuta senza alcun r., senza lasciare nulla che non sia stato esaminato. Sign. e usi scient. e tecnici: a. In chimica, ciò che rimane da un trattamento: così, il r. inorganico di un processo di combustione e che costituisce le ceneri; il r. insolubile, la parte che rimane non disciolta nell’operazione di dissoluzione di un minerale, di un metallo, ecc. con acidi (in genere si solubilizza per fusione con alcali); il r. della distillazione, ciò che rimane nel distillatore al termine di una distillazione discontinua, o il prodotto di coda prelevato in fondo al distillatore in un’operazione continua di distillazione; r. fisso o secco, il residuo di un’evaporazione, spec. di acque o soluzioni (se è ulteriormente riscaldato per essiccarlo completamente, si indica la temperatura: r. fisso a 180 °C). Più genericam., residui di fitofarmaci negli alimenti vegetali, le tracce di fitofarmaci o di loro prodotti che possono restare dopo un trattamento con essi (analogam., si possono avere residui di farmaci negli alimenti di origine animale). b. In matematica, nella teoria delle funzioni di una variabile complessa, r. di una funzione analitica, il risultato dell’integrazione della funzione su un percorso che racchiude al più un solo punto singolare; il valore di tale integrale è indipendente dal percorso ed è nullo nel caso in cui il percorso non racchiuda alcun punto singolare. c. Nel linguaggio finanz., residui di bilancio (attivi o passivi), le entrate o le spese previste in bilancio, cioè accertate o impegnate, ma non riscosse o pagate entro l’anno finanziario relativo. d. In sociologia, termine introdotto da V. Pareto per indicare il nucleo costante dei fatti umani, che è manifestazione di istinti, sentimenti, interessi, abitudini, ecc., in contrapp. alla parte variabile degli stessi (detta derivazione), costituita da ragionamenti rispondenti al bisogno di giustificare razionalmente anche ciò che non è sempre d’origine razionale. e. In statistica, metodo dei r., uno dei quattro procedimenti induttivi proposti da J. Stuart Mill per determinare l’intervento di talune cause in dati fenomeni, basato sulla regola: se A + B ha come causa un complesso di circostanze p, q, r, s, e p è causa di A, si induce che il complesso di circostanze q, r, s è causa di B.