rifuggire
v. intr. [dal lat. refugĕre (tranne nel sign. 1, che è comp. di ri- e fuggire), comp. di re- e fugĕre «fuggire», rifatto secondo fuggire] (coniug. come fuggire; aus. essere). – 1. Fuggire di nuovo: l’avevano ripreso, ma è riuscito a r.; come rafforzativo del verbo semplice: Fugge, rifugge, si travolge e torna Per mille vie (Caro); anche semplicem. fuggire: indietro rifuggironsi le Grazie (Parini: da notare qui l’uso letter., non raro, con la particella pron.). 2. non com. Rifugiarsi fuggendo, cercare rifugio: sorpresi dal temporale, rifuggimmo in una grotta; e con la particella pron.: altri consunto Da negre cure, ... sotterra si rifugge (Leopardi); fig.: per viltà, non per divozione, son rifuggiti a farsi frati (Boccaccio). 3. fig. Essere alieno da qualche cosa, quindi avere in avversione, in orrore, evitare, schivare: l’occhio rifuggiva da quell’atroce spettacolo; il suo animo rifugge da questi sospetti; rifuggo dallo scendere a patti con lui; è uno scrittore che per natura rifugge dalle ampollosità; con la negazione (formando quindi una litote), accettare, acconsentire volentieri: non rifugge da compromessi, quando si tratta di quattrini. Raro e letter. o elevato, con uso trans.: r. la violenza, la fatica.