rima1
rima1 s. f. [prob. lat. rhythmus «ritmo»]. – 1. L’identità di suono nella terminazione di due parole, dalla vocale tonica in poi, che si sente soprattutto quando le due parole sono a poca distanza l’una dall’altra nel discorso, e in partic. in poesia, quando esse sono collocate alla fine di due versi, consecutivi o vicini: così, per es., fanno rima, o sono in rima, vocaboli come testo e manifesto (r. piana, perché fra parole piane), veicolo e ridicolo (r. sdrucciola), virtù e tribù (r. tronca); mettere, disporre parole in r., disporle in modo che consuonino. Sempre con riferimento all’impiego della rima in poesia (come elemento concorrente alla melodia del verso): r. facili, difficili, banali, stentate, sforzate, astruse; il vincolo della r. (onde, verso sciolto, che va interpretato come sciolto da tale vincolo); la tirannia della rima. 2. estens. a. Poesia, in quanto si contrappone alla prosa, soprattutto in alcune locuz., come mettere in rima, cioè in versi, in poesia, o dire in rima: Dirò d’Orlando in un medesmo tratto Cosa non detta in prosa mai né in rima (Ariosto); anticam., dire in rima, poetare in volgare (in quanto la rima era elemento distintivo della poesia in volgare rispetto alla poesia latina classica): dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in latino (Dante); un Mico da Siena, assai buon dicitore in rima a quei tempi (Boccaccio). In usi fig., fam.: volete che ve la canti in rima?, debbo dirgliela in rima?, dire, parlare chiaro e tondo; rispondere per le r., col tono dovuto, ribattendo cioè con molta vivacità (probabile allusione all’uso dei poeti medievali di corrispondere per mezzo di componimenti poetici aventi nella risposta le stesse rime della proposta). b. Preceduto da un ordinale, diviene sinon. di strofa; così, poema in terza, in sesta, in ottava, in nona r., equivale a poema in terzine, in sestine, ecc. c. Al plur., versi rimati, e più genericam. versi, o anche poesie, componimenti poetici: Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore Trasse le nove r. (Dante), cioè il nuovo modo di poetare; voi ch’ascoltate in rime sparse il suono Di quei sospiri ... (Petrarca); che mal pônno sfogar rade, operose Rime il dolor che deve albergar meco (Foscolo); con valore collettivo (v. canzoniere): le Rime di Dante, del Petrarca, del Sacchetti, ecc. Poesie in rima, o comunque composte nella metrica accentativa, significa rime anche nell’espressione rime e ritmi, dove ritmi può significare o la poesia quantitativa, o la poesia in metrica barbara: quest’ultimo sign. ha nel titolo della raccolta carducciana Rime e ritmi. d. Con ulteriore estensione, poesia anche non rimata o addirittura composta con metrica diversa da quella della poesia romanza: S’elli avesse potuto creder prima ... Ciò c’ha veduto pur con la mia r. (Dante), dov’è Virgilio che parla accennando alla sua poesia, all’Eneide. e. fig., poet. Canto degli uccelli (al plur.): li augelletti ... Cantando ... intra le foglie Che tenevan bordone a le sue r. (Dante); Li augelletti dipinti intra le foglie Fanno l’aere addolcir con nuove r. (Poliziano). ◆ Pegg. rimàccia, rima brutta, di pessima fattura.
Metrica. – Si distinguono i seguenti tipi fondamentali di rima: r. perfetta, quando l’identità di suono è totale (per es., amore-fiore), r. imperfetta, quando l’identità è parziale, non assoluta (casi particolari di rima imperfetta sono l’assonanza e la consonanza: v. le due voci); r. ricca, quando è identica anche la consonante che precede la vocale tonica (per es., meditare-agitare; un caso particolare è la r. leonina, espressione che però ha anche un sign. diverso: v. leonino2); r. spezzata o franta, tra una parola e un gruppo di due parole (come, in Dante, pur lì - burli, in cui è diverso anche l’accento); r. ipermetra, tra una parola piana e una sdrucciola in cui la sillaba finale è elisa per sinafia o computata nel verso seguente (per es., in Pascoli, tempesta rima con restano, la cui sillaba finale -no fa parte del verso successivo); r. obbligata, v. obbligato; r. femminili, nella metrica francese (rimes féminines), tra parole che terminano con una o più lettere mute (per es., fête - tête, ils appellent - ils renouvellent). La rima può anche consistere nella ripetizione della stessa parola (così in Dante, in cui Cristo rima solo con Cristo), fatto normale nella sestina dove le sei parole (parole-rima) con cui terminano i versi della prima stanza si ripetono, secondo un determinato ordine, nelle cinque stanze successive e nel commiato; un caso particolare è la r. equivoca, tra due parole diverse ma omofone (per es., porta verbo e porta sostantivo). Con riguardo al modo con cui le rime si corrispondono si danno: r. baciata o accoppiata, tra due versi consecutivi; r. alternata (v. alternato); r. incrociata o chiusa (v. incrociato); r. incatenata (v. incatenare); r. interna o al mezzo (v. rimalmezzo).