risoluzione
risoluzióne (ant. resoluzióne) s. f. [dal lat. tardo resolutio -onis «scioglimento, annullamento», der. di resolvĕre «risolvere», part. pass. resolutus]. – 1. L’azione di risolvere, il fatto di venire risolto, nel sign. di sciogliere e annullare, scomporre, chiarire e trovare la soluzione o la spiegazione: r. di un patto, di un accordo; r. di un composto nei suoi elementi; r. di un dubbio, di un enigma, di un caso poliziesco intricato (in questi ultimi usi concorre, ed è più com., soluzione); in usi ant. o letter., dissolvimento, fine: si vedrà due cose essere state cagione della r. di quella Repubblica (Machiavelli). In partic.: a. In diritto privato, r. del contratto, scioglimento con effetto immediato di un contratto valido ed efficace: si distingue in r. giudiziale, in quanto richiesta da una parte al giudice (per inadempimento della controparte, per sopravvenuta impossibilità della prestazione o, nei contratti a esecuzione continuata, per eccessiva onerosità sopravvenuta), e in r. di diritto, che opera automaticamente senza intervento del giudice, purché nel contratto sia presente una clausola risolutiva espressa che preveda il diritto di una parte di richiedere, a sua discrezione, la risoluzione del contratto in caso di mancato rispetto, a opera della controparte, di particolari condizioni di adempimento del contratto (per es., termini perentorî di esecuzione). b. In matematica, r. di un problema, r. di un’equazione, ecc., il fatto di risolverli, di dare risposta al problema, o di determinare tutte le radici dell’equazione, e il complesso di operazioni con cui si perviene a questo risultato (in questo senso il termine si distingue da soluzione, che si riferisce invece per lo più al solo risultato finale). 2. a. L’azione di risolvere e il fatto di risolversi, nel sign. di prendere una decisione, e la decisione stessa adottata: prendere una r.; mantenere una r.; mi ha comunicato la sua r.; pronta, tarda, meditata, libera, spontanea, buona, opportuna, dannosa, ferma, definitiva, irrevocabile, eroica risoluzione. In partic., decisione finale presa da un congresso, un’assemblea, un organo collegiale: mettere ai voti la r. di un congresso scientifico; il comitato direttivo del partito ha approvato la seguente r.; la risoluzione dell’ONU sulla sicurezza degli operatori umanitarî. b. non com. Risolutezza: ho ammirato la tua r. nel condurre la faccenda; risoluzione e pazienza ... e il momento arriva (Manzoni). 3. In medicina, la cessazione di una qualsiasi fenomenologia, determinatasi sia spontaneamente sia in seguito a particolari interventi terapeutici: r. di un accesso convulsivo, di una crisi asmatica; r. di uno spasmo, la cessazione di uno stato di contrazione spastica dei muscoli lisci o striati. Con riferimento al decorso di alcune malattie, per lo più infettive, il termine indica il momento di superamento della fase più acuta, l’inizio cioè della fase di attenuazione e di guarigione. 4. In musica, il passaggio da un accordo dissonante a un accordo consonante: in questa concatenazione le note dissonanti del primo accordo risolvono, per grado congiunto discendente (o, talvolta, ascendente), sulle note consonanti del secondo accordo verso cui sono attratte. La risoluzione interessa, oltre alle note dissonanti degli accordi, anche le dissonanze create da ritardi, appoggiature, alterazioni. Sono inoltre ammesse, accanto alle r. attuate, cioè pervenute alla consonanza, le r. sospese, differite o addirittura elise, che contrastano con la tendenza a pervenire alla consonanza, rinnovando le possibilità di sviluppo armonico. 5. a. Nel linguaggio scient. e tecn., termine nato nell’ottica come potere risolutivo (o potere risolutore o potere risolvente) relativamente a strumenti di osservazione (occhio compreso) per indicare la maggiore o minore capacità dello strumento di risolvere nei più minuti dettagli gli oggetti osservati, cioè di mostrare nitidamente tali dettagli, precisata mediante criterî particolari per i varî tipi di strumenti (telescopî, microscopî, spettroscopî, ecc.), in genere facenti capo alla minima distanza angolare tra le visuali relative a punti molto vicini tra loro nel campo di osservazione che appaiono come punti distinti (r. angolare, usata, per es., per i telescopî; per l’occhio tale risoluzione misura l’acuità visiva) oppure facenti capo direttamente alla minima distanza tra tali punti (r. lineare, usata, per es., per i microscopî); il termine è poi passato nell’ottica fotografica relativamente a emulsioni sensibili, lastre, pellicole e carta da positive, nonché nelle tecniche in genere di elaborazione di immagini (v. oltre, b), e, per ulteriore estensione, dagli strumenti di osservazione a quelli di misurazione (v. oltre, c). b. Nella fotografia e nell’elaborazione elettronica delle immagini, lo stesso che definizione, ossia la capacità di riprodurre con precisione i dettagli; in partic., r. di un’emulsione fotografica (estensivamente, di una lastra, una pellicola, una carta da stampa per positive), la capacità dell’emulsione, una volta esposta, di registrare i più minuti dettagli dell’immagine formata su essa dal sistema ottico (apparecchio fotografico, ecc.), valutata quantitativamente sulla base della fittezza di linee parallele equidistanti, normalizzate secondo precise regole, che l’emulsione, correttamente esposta e sviluppata, rende in modo soddisfacente. Un criterio più largamente seguito è di esprimere la risoluzione mediante il numero di punti che il dispositivo è in grado di rendere a unità di lunghezza, che di norma è un pollice (2,54 cm), donde l’unità punti a pollice, sia in senso orizzontale sia in senso verticale; per tale unità si usa normalmente la sigla DPI (o dpi, dall’ingl. dots per inch) e si parla di alta r. per valori dell’ordine di 1200 o più DPI; per monitor di computer si usa riferirsi alla dimensione minima, in millimetri, che lo schermo è in grado di visualizzare (i valori normali sono dell’ordine di 0,3 mm). Carta di r. (o di definizione), disegno che, fotografato o ripreso da una telecamera, consente di valutare il potere risolvente di obiettivi e di emulsioni fotografiche o, rispettivamente, di impianti televisivi; in quest’ultimo caso serve a verificare il corretto funzionamento delle apparecchiature trasmittenti e riceventi, e, dal nome dello speciale tubo usato per la sua analisi, prende anche il nome di monoscopio. c. R. di uno strumento di misurazione, la più piccola variazione della grandezza da misurare che lo strumento è in grado di indicare (talora, ma impropr., la risoluzione viene fatta coincidere con la precisione, che riguarda invece l’errore da cui sono affette le misure date dallo strumento). d. Definizioni particolari: r. di un localizzatore (ecogoniometro, radar, ecc.), la minima differenza degli azimut (r. azimutale), dell’elevazione (r. in elevazione) o delle distanze (r. in distanza o telemetrica) di due oggetti che lo strumento è in grado di distinguere; r. di uno spettroscopio, la minima differenza tra le lunghezze d’onda di due righe di uno spettro che lo strumento è in grado di far vedere distinte; r. temporale, la capacità che un dispositivo di osservazione o elaborazione di fenomeni evolventisi nel tempo ha di trattare come eventi distinti due eventi che si succedono piuttosto ravvicinati, misurata dal minimo intervallo di tempo tra due eventi successivi che il dispositivo è in grado di trattare come eventi distinti.