rotto
rótto agg. e s. m. [part. pass. di rompere; lat. rŭptus, part. pass. di rŭmpĕre]. – 1. agg. a. Nel sign. proprio del verbo: portava un paio di scarpe rotte, aveva le calze tutte r.; c’è un vetro r., va cambiato; un orologio r., una sveglia r.; avere un braccio r., una gamba r., fratturati; sentirsi le ossa r. (o, anche, essere, sentirsi r., tutto r.), essere molto affaticato e stanco, e indolenzito. b. estens. Interrotto, ostacolato: acqua r. tra le pile del ponte (Manzoni); parlare con voce r., rispondere con parole r.; e con valore ancora verbale: voce rotta dal pianto; Quasi raggi del sol rotti dal nembo (Foscolo). c. fig. Riferito a persona, che ha lunga pratica di qualche cosa, e quindi resistenza, abilità: rotto alle fatiche, a ogni astuzia del mestiere; r. agli inganni; e in senso più spreg.: r. al vizio, al gioco, ecc.; A vizio di lussuria fu sì rotta, Che libito fé licito in sua legge (Dante). Ant. nel senso di irruente, eccessivo nel parlare, sboccato: Diceva Orlando: «Tu se’ troppo rotto» (Pulci). 2. s. m. a. Rottura, strappo: aveva un r. nella manica; mise la mano per lo r. dell’asse e pigliò il fondo delle brache del giudice (Boccaccio); è d’uso raro, tranne nell’espressione fig. uscire, passare per il r. della cuffia, cavarsela da un impiccio, da un rischio, alla meglio, con poco danno; e nel plur., per indicare le frazioni, soprattutto di unità monetarie: costa trenta euro e rotti. b. ant. Chi ha fatto bancarotta. Magistrato dei rotti, speciale magistratura in Genova che procedeva, nei confronti del commerciante fallito, in difesa dei diritti dei creditori sul processo di concorso.