s, S
(èsse) s. f. o m. – Diciottesima lettera dell’alfabeto latino; della sua forma originaria nella scrittura si hanno scarse notizie per la fase anteriore al greco, non sapendosi con certezza quale delle sibilanti fenicie i Greci prendessero a modello per la lettera da essi chiamata sigma e rappresentata in varie forme nei varî alfabeti arcaici; nel sec. 5° a. C. si generalizzò la forma Σ, che è tuttora in uso; da una sua variante, priva del tratto orizzontale inferiore, è derivata la S latina; da un’altra variante, nella forma della nostra C (e detta sigma lunato), che ha prevalso nella scrittura greca dall’età ellenistica fino ai tempi moderni, è derivata la lettera corrispondente dell’alfabeto cirillico. La forma della S latina fu semplificata nella scrittura minuscola antica con la soppressione del tratto inferiore, e nacque così quella ∫ lunga, simile alla f, che, come forma minuscola in principio e nel corpo di parola (non invece in posizione finale), ha prevalso sulla s corta anche nelle stampe fino al sec. 18° ed è tuttora in uso nella scrittura gotica a stampa del tedesco. Di uso comune la locuz. a S per indicare un andamento ricurvo e serpeggiante (v. esse): sifone a S; gambe a S, a doppia S, di mobili d’antiquariato, ecc. Il valore fondamentale della lettera è sempre stato quello della sibilante sorda 〈s〉, che in greco e latino era esclusivo (salvo forse davanti a consonante sonora); ma in alcune delle principali lingue di cultura, come l’italiano, il francese, il portoghese, l’inglese, l’olandese, il tedesco, e fin verso il 1600 anche lo spagnolo, è stato attribuito alla lettera s anche l’altro valore di sibilante sonora 〈∫〉, sia pure soltanto in determinate posizioni o per determinate parole, con la conseguenza di frequenti incertezze, sia ortofoniche (in quelle lingue che hanno una s ora sorda ora sonora), sia ortografiche (in quelle lingue che rappresentano la sibilante sonora ora con s ora con z). La lettera s è anche il primo componente di alcuni digrammi o trigrammi che in varie lingue rappresentano la fricativa palatoalveolare sorda 〈š〉: tali l’italiano sc (davanti alle vocali e, i) o sci (davanti alle vocali a, o, u), il tedesco sch, l’inglese sh, l’olandese, danese, norvegese e svedese sj, il polacco sz. Non tenendo conto di questi digrammi e trigrammi (per i quali si rinvia alla voce c, C), la lettera s rappresenta nell’ortografia italiana la sibilante tipica, cioè la fricativa alveolare, nelle due varietà sorda e sonora, fonemi che differiscono tra loro non tanto per il punto dell’articolazione quanto per la forma di questa, cioè per la diversa disposizione dei margini laterali della lingua, e inoltre per il diverso comportamento delle corde vocali, che sono in vibrazione nella s sonora (detta anche dolce, meno spesso lene, molle, ant. rimessa), non sono in vibrazione nella pronuncia della s sorda (o aspra, meno com. forte, dura, ant. gagliarda); la diversità tra questi due fonemi (che, come quella della e e della o aperte e chiuse, non è in genere di ostacolo alla rima) non è rivelata dall’ortografia ordinaria: solo i testi ortofonici distinguono la sorda con la forma di una s comune e la sonora con una s variamente modificata (∫, ṡ, ṣ); la grafia x (generalm. per s sonora ma talvolta anche per s sorda) è frequente in testi settentrionali (e in qualcuno toscano) dei sec. 13°-16°, e quella z per s sonora è regolare nei testi pisani e lucchesi dei sec. 13°-15°. Delle due s, la sorda possiede, come la maggior parte delle altre consonanti, i tre gradi, tenue (es. posa), medio (es. posta) e rafforzato (es. possa); la sonora invece non ha l’opposizione tra doppia e scempia, ma possiede i gradi tenue (es. caso) e medio (es. cosmo). La s italiana in generale, sorda o sonora, scempia o doppia, è la regolare continuazione della s latina, che era peraltro sempre sorda nella pronuncia classica. Abbiamo così, per es., sano, lat. sanus; stadera, lat. statera; smeraldo, lat. smaragdus; naso, lat. nasus; viso, lat. visus; corso, lat. cursus; passo, lat. passus; pasto, lat. pastus; rosmarino, lat. rosmarinus. Alcuni però dei più comuni nessi latini contenenti la sibilante hanno avuto in italiano esiti particolari. Abbiamo così -s- da -ns- (es. mese, lat. mensis), -s- o -ss- secondo la posizione da -x- e -ps- (es. sesto, lat. sextus; bosso, lat. buxus; sansa, lat. sampsa; cassa, lat. capsa), -sc(i)- da -sc- davanti a e o i (es. pesce, lat. piscis), ancora -sc(i)- da -ssi-, -sti-, -xi- atoni prevocalici o anche dal semplice -x- (es. angoscia, lat. angustia; lasciare, lat. laxare), -c(i)- o -g(i)- da -si- atono intervocalico (es. bacio, lat. basium; Perugia, lat. Perusia). Le parole che riproducono tali e quali i nessi latini ora citati si rivelano, dalla stessa forma, parole di origine dotta: es. melitense, dal lat. melitensis; capsula, dal lat. capsula; angustia, dal lat. angustia; cesio, dal lat. caesius. Soltanto in poche parole di formazione dotta è possibile trovare una s in mezzo ad altre due consonanti: es. constare, dal lat. constare (cfr. costare, lat. constare); la tradizionale avversione della lingua italiana a far proprî tali aggruppamenti è confermata dall’uso dell’«i prostetico», cioè dell’i premesso a parole comincianti per «s impura» (com’è chiamata correntemente la s preconsonantica) quando nella frase vengano a trovarsi precedute da consonante: es. non ispero, per iscritto, uso che oggi è quasi del tutto scomparso sia nella lingua scritta sia in quella parlata; per le stesse ragioni i troncamenti davanti a s impura sono quasi sempre evitati: es. un grido ma uno strillo, son venuto ma sono stato, non mi par vero ma non mi pare strano. La pronuncia sorda o sonora della s italiana si può ridurre soltanto in parte sotto regole precise. Lasciando da parte per ora la s tra vocali nel corpo della parola, in ogni altra posizione la lettera s rappresenta in italiano una consonante unica, le cui varietà sorda e sonora dipendono dal contesto fonetico; in partic.: la s doppia è sempre sorda (es. osso); la s iniziale di parola davanti a vocale è sempre sorda (es. seta); la s seguita da consonante sorda (c, f, p, q, t) è sempre sorda (es. scalpello, cubista); la s seguita da consonante sonora (b, d, g, l, m, n, r, v) è sempre sonora (es. sgabello, cubismo); la s preceduta da una consonante qualsiasi è sempre sorda (es. forse); la s finale di parola è sempre sorda (es. lapis); vi sono peraltro casi in cui queste regole generali non sono osservate: per es., una s finale all’interno di frase può inavvertitamente sonorizzarsi davanti a consonante sonora (es. gas liquido), sonorizzarsi o raddoppiarsi, secondo che il nesso tra le due parole sia più o meno stretto, davanti a vocale (es. gas illuminante); una s dopo consonante è sorda, ma se precede a sua volta una consonante sonora, è anch’essa sonora (es. transvolare, non sbarrare, di contro a transpirare, non sparare). Le regole generali fin qui esposte subiscono ancora alcune modificazioni in determinate pronunce regionali: nell’Italia settentr. la s del prefisso trans- prevocalico (es. transito) è fatta irregolarmente sonora, forse per analogia con quella, regolare, del prefisso tras- prevocalico (es. trasandato); nell’Italia centro-merid., invece, e anche in buona parte della Toscana, la s preceduta da l, n, r è pronunciata spesso come z sorda (es. terso pronunciato come terzo, borsa come borza), ma nelle parlate di tipo napoletano anche sonora. Per quanto riguarda la pronuncia sorda o sonora tra vocali nel corpo della parola non si possono dare regole assolute. Nella pronuncia classica del latino la s tra vocali era sorda come in ogni altra posizione; e questa è tuttora la pronuncia in uso nella metà meridionale d’Italia, fino a una linea che passa all’incirca per il M. Argentario, il M. Amiata, il Trasimeno, il M. Catria e il M. Conero. Nell’uso di questa parte d’Italia, dal Piceno alla Sicilia, esiste un solo fonema s, sordo, di cui la s sonora davanti a consonante sonora non è che una varietà di posizione. Il fonema è unico anche nell’uso dell’Italia mediana (Lazio settentr. con Roma, e parte dell’Umbria e delle Marche), dove la s tra vocali nel corpo della parola o anche soltanto nella frase è pronunciata per lo più come sorda lene: la s, per es., di quella sera, buonasera, naso, viso, viene a prendere un suono intermedio tra quello sordo e quello sonoro. Conseguenze di molto maggior rilievo, in questo e in altri punti della storia fonetica dell’italiano, ha avuto il fenomeno più generale nella lenizione romanza, a cui la s tra vocali nel corpo della parola (così come le occlusive sorde p, t, k nella stessa posizione) è andata soggetta nella metà settentrionale d’Italia (e in tutta la Romània occidentale) tra la tarda età romana e il primo medioevo. Così, per es., il lat. casa, che nell’Italia centro-merid. ha conservato la pronuncia kàsa e si distingue da cassa 〈kàssa〉 per la diversa durata della sibilante, in alta Italia è passato a kà∫a e, dopo lo scempiamento delle consonanti doppie avvenuto in quei dialetti nel medioevo, si distingue da cassa 〈kàsa〉 non più per la durata ma per la sonorità. Le incertezze e oscillazioni più diffuse in alta Italia, su questo punto, riguardano alcuni casi marginali (per es. staséra scritto stasera o, per ipercorrezione, stassera; cosa pronunciato kòsa o, per ipercorrezione, kò∫a) in cui a una s sorda raddoppiata nella grafia del dialetto corrisponde una s sorda scempia in lingua; eccezioni stabili alla regola della s sonora sono costituite, anche in alta Italia, dalla maggior parte delle voci composte (es. presento 〈presènto〉, del verbo presentire, diverso da presento 〈pre∫ènto〉, del verbo presentare) e da alcune voci che si scrivono anche con s doppia (es. musulmano, susurrare); a parte queste eccezioni, la tendenza alla sonorizzazione della s intervocalica è sempre più estesa. Una posizione autonoma ha avuto, riguardo alla lenizione romanza, la Toscana, la quale, mentre all’inizio ne era immune, accolse in un secondo momento (non più tardi del sec. 8°) una diffusa sonorizzazione imitativa, che ha finito col prevalere in una forte minoranza delle voci di tradizione ininterrotta, sia per le occlusive (es. riva, scudo, lago, di fronte a capo, moto, cieco), sia per la sibilante (es. sposo 〈spò∫o〉, viso 〈vì∫o〉, chiesa 〈ki̯è∫a〉, di fronte a mese 〈mése〉, naso 〈nàso〉, chiuso 〈ki̯ùso〉); nei latinismi le occlusive sorde sono state conservate, perché così voleva l’ortografia; ma la s, su cui l’ortografia non dà indicazioni, di regola è fatta sonora (causa è kàusa nel latino classico, ma kàu∫a nella pronuncia toscana del latino e dell’italiano, nonostante che l’esito popolare della stessa voce sia cosa 〈kòsa〉). La parziale lenizione toscana delle occlusive sorde latine è passata tale e quale nella lingua letteraria; quella della s, pur fondata su ragioni storiche quasi in tutto analoghe, incontra due ostacoli alla sua diffusione effettiva nelle altre regioni, cioè l’insufficienza dell’ortografia e la troppo diversa struttura fonetica dei varî dialetti. Resta pur sempre alla pronuncia toscana ora sorda ora sonora della s tra vocali il generale riconoscimento teorico di pronuncia-tipo; come tale essa è insegnata e registrata da tutti i dizionarî, compreso questo nostro, che distingue con il segno ṡ la pronuncia sonora in posizione intervocalica (nelle trascrizioni fonetiche di lemmi stranieri la sonora è indicata con il segno ∫), mentre per le altre posizioni sottintende quelle pronunce che sopra abbiamo visto normali. Per le singole pronunce della s tra vocali, qui si possono enunciare soltanto alcune regole empiriche, che valgono per quasi tutti i casi: 1) la s è sorda quando in una parola composta è iniziale di uno dei componenti (es. affittasi, proseguire, ventisette), anche in molte parole di composizione meno chiara (es. preside, disegno, risorto), qui però con alcune eccezioni (es. presule, bisestile, desinenza); 2) la s è sorda, fatte pochissime eccezioni, nei sostantivi e aggettivi in -ése (es. berlinese, calabrese), negli aggettivi in -óso (es. curioso, pietoso), nei participî passati e passati remoti in -éso, -ési, -ése, -ésero (es. reso, resi, rese, resero), nei participî passati e passati remoti in -óso, -ósi, -óse, -ósero (es. roso, rosi, rose, rosero); 3) la s è sorda nelle parole casa, cosa, così e in poche altre di meno largo uso, tra cui chiesi, chiusi, naso, peso, posa, raso, riso; 4) fuori delle parole già dette e dei loro alterati e derivati, la s tra vocali è sonora. Accenniamo infine brevemente, tra le varietà di articolazione della s, a certe pronunce individuali, come la «s blesa», cioè interdentale 〈th, dh〉, dovute a difetti organici (es. basso quasi come baffo), e le frequenti pronunce settentrionali, specialmente emiliane, di «s salata», cioè con articolazione un po’ arretrata, tendente verso quella palatoalveolare di š, ˇ∫ (es. grassa quasi come grascia). Usi più comuni della lettera come abbreviazione e simbolo: nella forma minuscola puntata è abbreviazione frequente, nelle opere grammaticali e lessicografiche, di sostantivo (così, s. m., sostantivo maschile, e s. f., sostantivo femminile); in geografia, di sinistro o sinistra; si alterna con sec. come abbreviazione di secolo; poco comune per seguente (più spesso abbreviato seg. o sg.; ma, nelle indicazioni bibliografiche, è talvolta usato ss. per il plur. seguenti: per es., pp. 55 e ss. o semplicemente pp. 55 ss.); in metrologia, s minuscola non puntata è simbolo di (minuto) secondo (nelle misure di tempo compare come esponente del numero che indica i secondi: così 7h 15m 7s si legge 7 ore 15 minuti e 7 secondi); in fisica delle particelle, s indica uno dei sapori leggeri di quark, detto anche quark strano (donde il simbolo). Nella forma maiuscola puntata è abbrev. nell’epigrafia latina di Senatus «Senato» e dei prenomi Sextus e Spurius (per questo, è usato anche, e più spesso, Sp.); nell’uso moderno è abbrev. dei nomi proprî di persona femminili o maschili che hanno questa lettera come iniziale (Silvia, Stefania, Sergio, Simeone), di Santità (in S.S., Sua Santità), di Signoria (in S.V., Signoria Vostra, e sim.), di suo o sua nelle varie sigle composte (S.A., Sua Altezza; S.M., Sua Maestà; S.P.M., Sue Proprie Mani, ecc.), di sotto, quando questo è primo elemento di alcune parole composte (per es. S.Ten., Sottotenente), dell’agg. sinistro nell’uso medico (occhio S., piede S.), ecc. Maiuscola o minuscola, puntata, seguita da nome proprio, è abbrev. di san, santo, santa (S. Francesco, S. Caterina, o s. Francesco, s. Caterina, ecc.); al plurale, SS. o ss., santi, mentre come singolare SS. o Ss. è abbreviazione di santissimo, santissima; per lo più maiuscola come abbrev. di sacro (S. Cuore; S. R. I., Sacro Romano Impero). Maiuscola senza punto è sigla geografica di sud, e rispettivam. dell’ingl. South, ecc. (in composizione, SE, sud-est; SO, sud-ovest, ecc.); in chimica, è simbolo dell’elemento zolfo, lat. Sulphur (con altro sign., posta dopo il nome commerciale di un colorante sintetico, indica solidità agli acidi, cioè esprime la proprietà che esso è «resistente agli acidi» [ted. Säurefest]); in biochimica, è simbolo dello svedberg, unità di misura della costante di sedimentazione delle molecole; in termodinamica, è il simbolo dell’entropia; in elettrologia, è simbolo del siemens, unità di misura della conduttanza; in fisica delle particelle, è il simbolo del numero quantico di spin; matrice S, lo stesso che matrice di scattering (v. scattering); in sismologia indica le onde sismiche trasversali, dette onde seconde per il fatto che arrivano dopo le onde longitudinali; in musica, è abbrev. di soprano, talora di solo; nelle targhe automobilistiche, è sigla internazionale della Svezia. Nel linguaggio commerciale, seguita da una sbarretta obliqua (s/ o S/), è abbreviazione di suo, sua. Nell’abbigliamento, è simbolo della misura small. Tagliata da due sbarre verticali ($), o anche da una (L̇), è simbolo del dollaro (e così $ can., dollaro canadese). Altri valori assume solo in abbreviazioni e sigle composte; per es.: c. s., come sopra; u.s., ultimo scorso, per indicare una data, spec. nell’uso burocratico e nelle lettere ufficiali; m.s., in musica, mano sinistra, e D.S. dal segno; SCV, Stato della Città del Vaticano (nelle targhe automobilistiche); csi, Comunità degli Stati Indipendenti, comprendente gran parte dell’ex URSS; S. P., Scuole Pie; P. S., Pubblica Sicurezza, ecc. Nel codice alfabetico internazionale, la lettera s viene convenzionalmente identificata dalla parola spagnola sierra.