sala del buco
loc. s.le f. Luogo adibito al consumo vigilato di sostanze stupefacenti. ◆ «Una simile esperienza – riprende [Federico] Parea – è stata tentata lo scorso anno a Roma. Esponenti di An hanno letteralmente occupato quella “sala del buco” impedendone il funzionamento». (Martino Spadari, Corriere della sera, 30 marzo 2001, p. 49, Cronaca di Roma) • La struttura è nata quando governava il premier popolare ed osservante José Maria Aznar (che peraltro ha mantenuto la depenalizzazione del consumo di qualsiasi droga introdotta nell’86 dal socialista Felipe González). È divisa in due parti contigue: la «sala del buco», 50 metri quadrati con 10 compartimenti per iniettarsi quasi sempre «café con leche» (il mix di eroina e cocaina in slang), e un edificio di 900 metri quadrati con centro di pronto soccorso, accoglienza per 50 tossici, mensa per 180 posti, docce, lavanderia. Un’oasi di umanità e di solidarietà, dove è proibito drogarsi pena l’espulsione. I tossici fanno pazientemente la fila per entrare nella «sala de venopunción». La maggioranza, il 75%, sono maschi sui 30-35 anni. (Gian Antonio Orighi, Stampa, 14 giugno 2006, p. 7, Interno) • «Come probabilmente sai – scrive [Sergio] Chiamparino [al ministro Livia Turco] – il nostro Consiglio è impegnato nella discussione di una mozione presentata da alcuni consiglieri di maggioranza che propone la sperimentazione delle cosiddette sale del buco come strumento per rafforzare la prevenzione ed il contrasto dell’uso di sostanze stupefacenti. La votazione è accanita e i tempi non sono immediati». (Sara Strippoli, Repubblica, 1° novembre 2007, Torino, p. V).
Espressione composta dal s. f. sala, dalla prep. del e dal s. m. buco.
Già attestato nella Stampa del 23 febbraio 1998, Savona, p. 2.
V. anche narcosala, shooting room, stanza del buco.