salario2
salàrio2 s. m. [dal lat. salarium (neutro sostantivato dell’agg. salarius, der. di sal salis «sale»), propriam. «razione di sale», poi «indennità per l’acquisto di sale e di altri generi alimentari concessa a funzionarî della magistratura e dell’esercito», quindi, nel lat. imperiale, «stipendio, retribuzione»]. – 1. a. Nel linguaggio giur.-econ., il reddito dei lavoratori dipendenti, in partic. degli operai (quello degli impiegati è detto invece stipendio), che remunera la quantità e la qualità del lavoro prestato e che, secondo il dettato costituzionale, deve nello stesso tempo assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa; può essere erogato in varie forme, di cui le principali sono: il s. a tempo (o a economia), quando è commisurato a un’unità di tempo (per es., s. orario, s. giornaliero, s. settimanale, s. mensile, ecc.); il s. a cottimo (detto anche a forfait, a compito, a unità, a fattura, a misura), quando è commisurato al prodotto del lavoro; il s. progressivo (o proporzionale, o a incentivo), costituito da un salario base, determinato come salario a tempo, e un salario aggiuntivo, che remunera il lavoro dei singoli operai sulla base di criterî quantitativi (in partic., in funzione della differente produttività) e qualitativi (per es., in funzione del minor numero di prodotti difettosi); fino al 19° secolo poteva inoltre essere erogato in natura o in denaro, ma quest’ultima forma è ormai predominante in Italia e nei paesi economicamente avanzati. Si definisce struttura del s. l’insieme dei due elementi che determinano la sua grandezza quantitativa: la prima parte è costituita dalla somma del s. minimo contrattuale (o s. contrattuale), regolato da contratti collettivi di efficacia nazionale che stabiliscono il s. base, cioè la retribuzione relativa alla qualifica professionale e al settore di attività, e dell’indennità di contingenza che, applicata a quello, ne salvaguarda il potere d’acquisto (tale parte del salario, una volta abolita la scala mobile, v. scala, n. 8, è determinata mediante la politica dei redditi, cioè una politica economica che subordina gli aumenti salariali al programma di contenimento dell’inflazione); la seconda parte è costituita dalle eventuali integrazioni retributive stabilite sulla base della contrattazione locale o di pattuizioni individuali (per es., forme di salario progressivo, premî, gratifiche, erogazioni «una tantum»); l’insieme di questi due elementi costituisce il s. di fatto, che differisce dal s. netto in quanto comprende le trattenute alla fonte, cioè i contributi previdenziali e gli oneri fiscali a carico del lavoratore (s. lordo); più specificamente il s. netto è determinato dalla somma del s. di fatto e delle integrazioni previste dalla legislazione sociale, quali per es. gli assegni familiari. In partic., s. monetario, la quantità di moneta corrisposta per la prestazione lavorativa, chiamata anche s. nominale, in contrapp. al s. reale, in quanto per diversi motivi (spec. l’aumento generalizzato dei prezzi) tale somma di denaro può non corrispondere più alla quantità di beni e servizî con essa precedentemente acquistabili; sono inoltre in uso nel linguaggio giur. le seguenti locuz.: s. garantito, l’integrazione salariale (v. integrazione, n. 1 a) corrisposta agli operai occupati in rami produttivi soggetti a temporanea contrazione o sospensione dell’attività lavorativa, per motivi di ordine economico (crisi congiunturali o locali) o ambientale (condizioni naturali sfavorevoli, per es. nell’agricoltura e nell’edilizia); s. minimo garantito, salario assicurato ai lavoratori per via legislativa, che consente loro di soddisfare esclusivamente le necessità vitali, quali si presentano in determinate circostanze economiche e sociali; con riferimento al momento in cui viene percepito, s. immediato, quello che il lavoratore riceve mensilmente, e s. differito, quello che retribuisce la prestazione in un momento successivo al periodo in cui è stata effettuata (tredicesima, ferie, indennità di fine lavoro, premio di anzianità). Si è parlato di s. d’ingresso per indicare una forma di salario, proposta nell’ambito delle politiche per l’occupazione, che retribuisce il lavoro prestato al netto delle ore impiegate per la formazione del lavoratore. b. Nel linguaggio econ., con sign. più ampio, la remunerazione del fattore lavoro, come lavoro in genere, subordinato o autonomo, manuale o di concetto; in questo senso il salario comprende anche lo stipendio dell’impiegato, l’onorario del professionista, il compenso per servizî di vario genere, e in partic. il cosiddetto s. di direzione, cioè il reddito percepito dall’imprenditore per l’attività da lui svolta nell’impresa. Con altro sign. estens., spec. connesso all’attività lavorativa di carattere impiegatizio, si chiama s. indiretto, distinto dal s. diretto, l’insieme dei benefici (sconti, facilitazioni, buoni-acquisto, ecc.) concessi dall’impresa ai proprî dipendenti e non inclusi nella busta paga. 2. ant. Retribuzione, compenso in genere: voleva essere e fante e famiglio e ogni cosa, e senza alcun s. sopra le spese (Boccaccio); mio padre non volse che lui mi desse alcun s. (Cellini).