sanscrito
sànscrito agg. e s. m. [dal sanscr. saṃskṛta- propr. «perfetto, elaborato (grammaticalmente)», cfr. saṃskāra-, «sistemazione, regola (grammaticale)», comp. di sam- «con» e kar- «fare»]. – Denominazione di una lingua indoaria che fu il veicolo principale di molte forme della cultura aria dell’India, dai Veda fino ai nostri giorni, ma soprattutto strumento precipuo della civiltà brahmanica; secondo quanto si ricostruisce dai documenti epigrafici, il sanscrito si può considerare la modificazione di un dialetto indiano settentrionale nel quale, attraverso i secoli, penetrarono molti elementi lessicali alloglotti (dall’iranico, dal dravidico, dall’arabo, dal turco, dal mongolo e da lingue europee). In partic., s. classico, quello in cui si riflette l’attività dei grammatici più antichi, in specie di Pāṇini (4° sec. a. C.); s. vedico, la lingua dei Veda; s. ieratico, la lingua dei testi successivi ai Veda, cioè della letteratura esegetica; s. misto (o s. buddistico ibrido), forma pracrita medioindiana usata in alcune cerchie buddistiche. Scrittura s., scrittura che utilizza l’alfabeto devanagarico (v. deva-nāgarī), usata per le maggiori lingue moderne dell’India e anche in Occidente per le edizioni di testi sanscriti, sebbene nelle varie province del subcontinente indiano siano in uso anche altri sistemi alfabetici (v. fig. a p. 750).