scampare
v. intr. e tr. [der. di campo, col pref. s- (nel sign. 3)]. – 1. intr. (aus. essere) Uscire salvo da un grave pericolo; sottrarsi, sfuggire a un rischio, a un male, a un danno: s. dalla morte; s. da una malattia; Siamo scampati dalla febbre gialla E dal grippe e dal tifo e dalla guerra (Guadagnoli); s. a un naufragio, a una strage, al terremoto; anche con uso assol.: Con un legnetto sol misera scampa (Ariosto). 2. tr. a. Salvare, liberare altri da un pericolo (anche non grave), preservare da mali e danni: i medici sono riusciti a scamparlo dalla morte; Altro schermo non trovo che mi scampi Dal manifesto accorger de le genti (Petrarca); E morte lo scampò dal veder peggio (Leopardi). Di uso piuttosto elevato, è invece frequente nelle espressioni deprecative Dio ci scampi, Dio ci scampi e liberi; il Cielo ce ne scampi; anche iperb.: Dio ci scampi da certi amici! b. Sfuggire, evitare un grave pericolo, un male: s. la morte, il sequestro, la prigione; colla fuga scampò le mani degli inimici (Guicciardini); più com. col pron. la indeterminato: scamparla bella; l’ho scampata per miracolo; sarò contento anche per quella povera Lucia: anche lei deve averla scampata grossa (Manzoni). ◆ Part. pass. scampato, anche come agg. con valore passivo: un pericolo scampato (spec. nella formula di compiacimento: rallegrarsi con qualcuno per lo scampato pericolo); e come agg. e s. m. (f. -a), con valore intr., di persona che si è sottratta a, o salvata da, un pericolo: Reduce dalla pugna, e dalle fiere Mani scampato de’ robusti Achei (V. Monti); si rifugiò sui monti con i pochi soldati scampati dall’imboscata; gli scampati al naufragio furono raccolti dai mezzi di soccorso.