schifare
v. tr. e intr. [der. di schifo1]. – 1. ant. a. tr. Evitare: giammai schermidor non fu sì accorto A schifar colpo (Petrarca); arebbono facilmente schifata questa tempesta (Guicciardini); fu cagione di grandissima mortalità che si poteva s. (T. Tasso); v. schivare, che in questo sign. è la sola forma in uso modernamente. b. intr. (aus. avere) Non degnarsi, essere ritroso a fare una cosa: li quali volentieri guida e servidor ne saranno, se di prendergli a questo oficio non schiferemo (Boccaccio). 2. tr. a. Disdegnare, avere a schifo: s. un cibo; s. un’offerta; s. le adulazioni, le ipocrisie; s. la compagnia di una persona; ella saliva su per le scale erte, ... schifando di appoggiarsi alle maniglie di legno sudicio (De Roberto); più genericam., ricusare: in sé non schifò di ricevere l’amorose fiamme (Boccaccio); più com. come intr. pron., schifarsi, provare schifo, o disgusto: schifarsi di un ambiente, di un lavoro, di qualcuno; mi sono schifato dei suoi maneggi; ci siamo schifati di questa situazione; se non ti schifi, userò la tua forchetta. b. Provocare schifo; nauseare, disgustare: il suo contegno mi ha schifato; assistere a queste porcherie mi schifa profondamente; ha così poco appetito che la sola idea del cibo lo schifa. ◆ Part. pass. schifato, anche come agg., sia con il valore passivo di disprezzato, evitato, sfuggito (è un uomo maligno e pettegolo, schifato da tutti), sia, più com., nel sign. intr. di disgustato, nauseato: ho piantato tutto, schifato dalla disonestà dell’ambiente; bambini non ancora schifati delle loro madri (Piovene).