scorticare
v. tr. [lat. tardo excŏrtĭcare, der. di cortex -tĭcis «corteccia», col pref. ex-] (io scórtico, tu scórtichi, ecc.). – 1. Levar via la pelle, scuoiare un animale, o più raramente una persona come forma di tortura: s. un asino, un agnello; Marcantonio Bragadìn fu scorticato vivo dai Turchi. In antichi proverbî e modi prov.: la coda è la più cattiva a s., le maggiori difficoltà sono alla fine, nell’ultima parte di un’impresa; tanto ne va a chi tiene, quanto a chi scortica, chi consiglia o consente il male è altrettanto responsabile e colpevole di chi lo compie; alla prova si scortica l’asino, l’uomo si conosce quando deve affrontare gravi difficoltà e responsabilità; s. il pidocchio, essere avaro, avido di guadagno. 2. Per estens., produrre una lacerazione della pelle: gli scarponi da montagna mi hanno scorticato i calcagni; e con la particella pron. in funzione di compl. di termine: scavalcando il muricciolo, mi sono scorticato i polsi. 3. In senso fig.: a. Far pagare un prezzo o un interesse esageratamente alto: quello strozzino scortica i disgraziati che gli cadono sotto le grinfie. b. Sottoporre a una prova eccessivamente severa, fare domande particolarmente complesse: all’esame mi hanno scorticato per quasi un’ora. ◆ Part. pass. scorticato, anche come agg., e talora in senso estens., che ha la pelle rovinata, o il pelo consumato: un vecchio mulo scorticato, docile e remissivo (I. Calvino). In araldica, attributo dei lupi rosseggianti e dei leoni e dei cavalli raffigurati dal mezzo del corpo alla coda senza la pelle e sanguinanti.