scriba
s. m. [dal lat. scriba, der. di scribĕre «scrivere»] (pl. -i). – 1. a. letter. ant. Scrivano, amanuense; talvolta, trascrittore: Ché a sé torce tutta la mia cura Quella materia ond’io son fatto s. (Dante). b. Nell’uso attuale, in senso spreg., scrittorucolo, scrittore di scarsa capacità e inventiva. 2. Come termine storico: a. Nel mondo romano della tarda età repubblicana, schiavo addetto alla scrittura del libro; dall’età imperiale fino al tardo-antico, artigiano dedito tanto alla scrittura quanto alla manifattura del libro, ma anche impiegato dello stato addetto a lavori di scrittura e di copiatura di atti e documenti, per lo più alle dipendenze di magistrati e funzionarî, e, dopo l’affermazione del cristianesimo, monaco dedito alla trascrizione di codici per conto del vescovato o del proprio monastero; a partire dal 13° secolo, più scribi cominciano a lavorare alla trascrizione simultanea di singoli fascicoli destinati alla divulgazione della cultura universitaria (v. pecia). Per estens., persona che compie un lavoro di copia e di scrittura (v. anche amanuense, copista). b. Nella tarda età biblica e nella prima età postbiblica, dotto ebreo seguace del farisaismo, caratterizzato da un accentuato formalismo religioso.