simulacro
(raro simolacro) s. m. [dal lat. simulacrum «figura, statua», der. di simulare «raffigurare in forma simile»], letter. – 1. Statua, immagine, spec. di divinità: i s. degli dèi pagani; un s. d’oro, di marmo; Al tuo santo simolacro Cui gran folla urta di gente Già mi prostro umilemente (Parini, nell’ode La Impostura); quella a cui di sacro Mirto te veggo cingere Devota il simolacro (Foscolo), la statua di Venere; e genericam.: O patria mia, vedo le mura e gli archi E le colonne e i simulacri ..., Ma la gloria non vedo (Leopardi). 2. estens. e fig. a. Parvenza; immagine, rappresentazione esteriore, non rispondente alla realtà: sotto l’Impero non restò in Roma che un s. di libertà; il fasto spesso è soltanto un s. di grandezza. b. ant. Ombra, fantasma di persona morta, di essere non reale: Qual l’infermo talor ch’in sogno scorge Drago o cinta di fiamme alta Chimera, Se ben sospetta o in parte anco s’accorge Che ’l simulacro sia non forma vera, Pur desia fuggir (T. Tasso). c. Teoria dei s. o, più comunem., con termine lat., dei «simulacra» (propriam. «immagini, figure», come traduz. del gr. εἴδωλα), dottrina epicurea, esposta da Lucrezio (sec. 1° a. C.) nel IV libro del De rerum natura, secondo la quale dalle cose si staccherebbero dei sottili veli atomici, del tutto identici alle cose, i quali, venendo in contatto con i sensi, determinerebbero sia le percezioni sia i sogni. 3. Nella tecnica, modello al vero di una macchina o di una parte di essa, generalm. riproducente la sola forma esterna.