snob
〈snòb〉 s. ingl. [parola che significava in origine «cittadino di basso ceto» e nell’ingl. dialettale «ciabattino», assunta nel gergo studentesco inglese per indicare una persona estranea all’ambiente, passata quindi a significare «persona non fine, non adeguata a un ambiente colto e raffinato», e diffusa in Europa dal romanzo The book of snobs (1848) di W. Thackeray; è priva di fondamento l’opinione, molto diffusa, che sia un’abbreviazione della locuz. lat. s(ine) nob(ilitate) «senza nobiltà»] (pl. snobs 〈snòb∫〉), usata in ital. come s. m. e f. e agg. – Chi ammira e imita ciò che è o crede sia caratteristico o distintivo di ambienti più elevati; chi ostenta modi aristocratici, raffinati, eccentrici, e talora di altezza, superiorità: uno, una snob; una persona snob; una ragazza molto snob; circoli, ambiente snob, e, per estens., pose, atteggiamenti snob; la parola “snob” era ignota in Sicilia nel 1860: ma come prima di Koch esistevano i tubercolotici, così in quella remotissima età esisteva la gente per la quale obbedire, imitare e sopratutto non far pena a chi stimano di levatura sociale superiore alla loro, è legge suprema di vita: lo snob, infatti, è il contrario dell’invidioso. Allora egli si presentava sotto nomi diversi: era chiamato “devoto”, “affezionato”, “fedele” (Tomasi di Lampedusa).