south working
(South Working, South working) l. s.le m. Lavoro da remoto per aziende fisicamente collocate nell'Italia del Nord, svolto da casa o in regime di smart working da persone che abitano nell'Italia del Sud. ♦ Elena Militello, ricercatrice dell’Università del Lussemburgo, si occupa di procedura penale comparata. Ha 27 anni, è di Palermo. La sua città natale l’ha lasciata nel 2010 per andare a Milano a studiare alla Bocconi. Poi il dottorato fra Stati Uniti e Germania, e in seguito il contratto di ricerca a tempo indeterminato nell’ateneo della piccola nazione europea. Non si trova affatto male lì, le piace quell’ambiente frequentato da persone che arrivano da tutto il mondo, ma vorrebbe avere la possibilità di poter lavorare anche in Sicilia o dalla Sicilia. Con la pandemia e la diffusione del lavoro in remoto, le è così venuta un’idea che potrebbe cambiare sensibilmente l’Italia se avesse successo. “Il progetto si chiama South Working e come primo terreno di prova avrà Milano e Palermo”, racconta lei stessa. “Penso si possa cominciare ad immaginare un mondo diverso rispetto a quello di ieri grazie alla tecnologia e al lavoro agile. Un mondo nel quale alle persone sia consentito per periodi più o meno lunghi di trasferirsi al sud dove la qualità della vita è più alta e il costo molto più basso mantenendo il proprio posto nelle aziende attuali”. (Jaime D'Alessandro, Repubblica.it, 26 giugno 2020, Dossier) • Il sociologo Domenico De Masi non ha dubbi: il lavoro da remoto proseguirà e quindi anche il fenomeno del south working. La tendenza di migliaia di lavoratori meridionali che a causa dell’emergenza coronavirus hanno lasciato il nord più colpito per tornare al Sud continuando comunque a esercitare la propria professione in smart-working. “È un merito della pandemia – dice De Masi al Corriere del Mezzogiorno – aver abbattuto il problema del luogo di lavoro. Oggi che sia a cento metri o a cento chilometri non ha più senso. Diciamo che il coronavirus ha accelerato la consapevolezza che stiamo andando verso un mondo destrutturato grazie alle nuove tecnologie”. De Masi aveva cominciato a studiare lo smart working negli anni ’90 quando fondò la Società Italiana Telelavoro (Sit). Una strada dalla quale non si tornerà più indietro, dice. (Riformista.it, 25 agosto 2020, Il fenomeno) • La pandemia lo ha reso indispensabile, anche dopo il Covid non uscirà dalle nostre vite. Il lavoro agile per i Paesi mediterranei è stato una scoperta, più a Nord era una pratica già diffusa. Lavoro subordinato strutturato per obiettivi, senza vincoli orari o spaziali: può essere un’opportunità, ma richiede concertazione e aggiornamenti normativi. Prima dell’emergenza in Italia lavorava da casa in modo stabile o occasionale solo il 5% dei dipendenti, in Svezia e Paesi Bassi il 37%. E ora da noi prende forma una declinazione specifica: il south working. Sapete cos’è? (Maria Serena Natale, Corriere della sera.it, 4 settembre 2020, Corriere TV) • “Non ci sono ancora dati statistici solidi, ma ci stiamo lavorando e al South working dedicheremo un capitolo del nostro prossimo rapporto che uscirà a fine ottobre – dice al Foglio Luca Bianchi, direttore di Svimez – Per il momento possiamo dire che durante l’emergenza sanitaria diverse migliaia di persone si sono spostate al sud continuando a lavorare o studiare per aziende o atenei del nord Italia, soprattutto milanesi. E in tanti stanno continuando a farlo in mancanza di indicazioni precise di rientro nelle sedi lavorative e grazie alla scelta di alcune università di attivare modalità didattiche a distanza (oltre il 10 per cento degli iscritti alle università di Milano provengono dal sud). Questo vuol dire che è possibile continuare a produrre ricchezza per il nord del paese evitando di spopolare le aree del Mezzogiorno”. (Mariarosa Marchesano, Foglio.it, 6 settembre 2020, GranMilano).
Pseudoanglicismo formato dall’agg. south (‘Sud’) e dal s. working (‘lavoro, attività lavorativa’), sul modello di smart working.