spazio
spàzio s. m. [dal lat. spatium, forse der. di patēre «essere aperto»]. – 1. Con valore assol., il luogo indefinito e illimitato in cui si pensano contenute tutte le cose materiali, le quali, in quanto hanno un’estensione, ne occupano una parte, e vi assumono una posizione, definita mediante le proprietà relazionali di carattere qualitativo (sempre relative a una certa scala) di vicinanza, lontananza, di grandezza, piccolezza, rese quantitative, già nell’antichità classica, dalla geometria, in quanto scienza dei rapporti e delle misure spaziali fondata su una definizione rigorosa dello spazio come estensione tridimensionale; più modernamente, lo spazio è anche considerato come intuizione soggettiva elaborata mediante gli organi di senso (spec. la vista) o è concepito (per es. nella prossemica) come modalità secondo la quale l’individuo, nel suo comportamento sociale, rappresenta e organizza la realtà in cui vive. a. Nel pensiero filosofico e scientifico, il termine ha assunto via via sign. diversi e per lo più contrapposti, essendo di volta in volta concepito o come proprietà della materia o come scenario immobile che fa da sfondo al movimento dei corpi: alle origini del pensiero antico, fin dalle prime trattazioni delle scuole ionica e pitagorica è il luogo vuoto e illimitato da cui sorgono i corpi, mentre da Parmenide e Zenone è confinato nel dominio dell’Essere, rappresentato come sfera piena e perfettamente delimitata; mentre la prima concezione trova la sua formulazione classica nella filosofia atomistica, che pensa lo spazio come infinito non-Essere, o s. infinito vuoto entro cui si muovono gli atomi, la seconda è ripresa sia da Platone, che lo rappresenta come materia immutabile e indeterminata, luogo di intersezione tra il mondo delle idee e quello degli enti finiti, sia spec. da Aristotele, che invece lo ritiene diverso dai corpi (di cui pertanto non costituisce né la materia né la forma), in quanto entità finita che li contiene e ne influenza il movimento, secondo la teoria dei luoghi naturali (alto e basso, avanti e indietro, destra e sinistra), e il cui limite coincide con quello dell’ultimo cielo delle stelle fisse. Tale concezione, tramandata attraverso il pensiero medievale, è in parte ripresa da Cartesio, che, facendo coincidere lo spazio con la sostanza estesa, giungeva a negare l’esistenza del vuoto; con la rivoluzione scientifica del ’600 si afferma la concezione newtoniana dello s. assoluto, sistema inerziale infinito, isotropo, omogeneo, che agisce su tutti gli oggetti materiali senza esserne influenzato e che forma, assieme al tempo assoluto, lo scenario metafisico di ogni evento naturale (definito come Sensorium Dei); concezione alla quale si contrappone Leibniz, che afferma la relatività dello spazio, considerandolo, analogam. al tempo (ordine delle successioni), come l’ordine delle coesistenze; nel tentativo di conciliare queste due posizioni, Kant concepisce lo spazio, insieme al tempo, come intuizione pura, forma a priori di ogni esperienza possibile; diversamente, nella successiva impostazione riemanniana, lo spazio è una qualunque struttura geometrica tridimensionale, indipendentemente dal sistema di assiomi che la individua (sono quindi pensabili s. non-euclidei, in contrapp. allo s. euclideo, in cui valgono i cinque postulati di Euclide); in connessione con lo sviluppo del concetto di campo, lo spazio diventa il supporto su cui rappresentare l’insieme dei campi che descrivono la realtà fisica e dipendono da quattro parametri, tre coordinate spaziali e una temporale (s. quadridimensionale o spaziotempo). b. In fisica, il sign. del termine risente del riferimento concettuale in cui viene utilizzato: nella fisica classica, lo spazio si identifica con un «sistema di riferimento», ente di natura essenzialmente geometrica al quale va riportata ogni descrizione cinematica e dinamica del moto; nella relatività galileiana lo spazio è un riferimento fisico che, alla stregua di ogni altra grandezza, può essere trasformato per una più conveniente descrizione del fenomeno in esame; all’inizio dell’800, con la scoperta del carattere ondulatorio della luce, lo spazio è ipotizzato come interamente occupato da un etere cosmico che agisce da mediatore per ogni azione a distanza o ogni propagazione di energia e materia. Finché sopravvive l’idea di etere, i campi di forze non sono che effetti delle azioni dell’etere e lo spazio assoluto risulta in linea di principio individuato dal sistema di riferimento rispetto al quale l’etere è in quiete; con la teoria della relatività speciale, lo spazio torna ad essere il luogo geometrico di eventi contraddistinti da tre coordinate spaziali e una temporale, la cui definizione, legata agli effettivi procedimenti di misurazione, comporta una interdipendenza reciproca che si evidenzia nelle trasformazioni di coordinate che si devono effettuare nel passaggio da un sistema di riferimento iniziale a un altro in moto rispetto al primo (v. relatività), ragion per cui si comincia a parlare di spaziotempo (v.) o di cronotopo (v.); nella teoria della relatività generale, lo spaziotempo è uno spazio curvo (e quindi non-euclideo), alla cui curvatura, dipendente localmente dalla presenza di materia, è riconducibile il campo gravitazionale. Più in partic., s. omogeneo, spazio in cui le leggi della fisica sono invarianti rispetto alle traslazioni spaziali, s. isotropo, spazio in cui le leggi della fisica sono invarianti rispetto alle rotazioni spaziali; s. delle fasi (o delle configurazioni), per un sistema complesso, spazio generalizzato a 2n dimensioni, utilizzato per rappresentare lo stato, il quale è definito da n variabili indipendenti, corrispondenti ai gradi di libertà del sistema, e dalle loro derivate rispetto al tempo. In ottica, s. immagine e s. oggetto, i due assiemi dei punti immagine e dei punti oggetto coniugati per un dato sistema ottico. c. In matematica, il termine ha indicato inizialmente lo spazio geometrico a tre dimensioni, ambiente della geometria classica, nel quale sono immerse tutte le usuali figure; nel contesto della revisione dei fondamenti della geometria, assume un sign. non più assoluto, ma relativo al particolare tipo di geometria che si intende sviluppare, ed è definito in base al sistema di assiomi scelto: si parla così di spazio euclideo, non-euclideo, proiettivo, ecc., a seconda che ci si riferisca alla geometria euclidea, non-euclidea, proiettiva, ecc.; in partic., s. euclideo, lo spazio in cui valgono gli assiomi della geometria euclidea (v. anche piano2, n. 5, e retta3) e in cui ogni punto si può rappresentare con tre coordinate reali (per cui si parla anche di s. reale, in contrapp. allo s. complesso, in cui le coordinate sono numeri complessi); iperspazio euclideo, o s. euclideo a n dimensioni (o pluridimensionale), generalizzazione dello spazio euclideo in cui un punto è rappresentato da un insieme ordinato di n numeri; s. affine, lo spazio in cui si prescinda dalla ortogonalità e dalla distanza, mentre continuano a sussistere le proprietà di incidenza, parallelismo, ecc.; s. proiettivo, lo spazio euclideo in cui si aggiungano gli elementi (punti, rette) all’infinito (improprî), e si prescinda, oltre che dalle nozioni di distanza e ortogonalità, anche da quella di parallelismo, mentre sussiste la proprietà di incidenza (v. proiettivo, n. 1). Il concetto di spazio è stato generalizzato in più modi, dando origine a più strutture geometriche e algebriche (dette talora s. astratti): s. metrico, s. topologico (v. i rispettivi agg.); s. vettoriale, spazio astratto riferito a un campo (per es., l’insieme dei numeri reali) e costituito da un insieme di elementi (vettori) per i quali sono definite le operazioni di somma di vettori e di prodotto di un vettore per un elemento di un campo; s. vettoriale euclideo, spazio vettoriale in cui sia definito un prodotto scalare che associa un elemento del campo a ogni coppia di vettori dello spazio; s. lineare, locuz. usata come equivalente di s. proiettivo o di s. vettoriale; s. normato, spazio vettoriale nel quale per ogni elemento è definita una funzione reale non negativa detta norma (v. norma, n. 6); s. subordinato, o sottospazio, particolare sottoinsieme di un dato spazio che ne conservi la struttura; fra le numerose strutture che generalizzano il concetto elementare di spazio, alcune vengono indicate con il nome del matematico che le ha introdotte: s. di Banach, s. di Hilbert, s. di Hausdorff, s. di Riemann, ecc.; s. di Minkowsky (1864-1909), lo stesso che spaziotempo (v.). Più in generale, il termine è stato usato per indicare l’ambiente in cui si opera (spec. se in tale ambiente si possono introdurre concetti geometrici, come la distanza): per es., s. di funzioni; nel calcolo delle probabilità, s. degli eventi, l’insieme dei casi in cui può manifestarsi un certo fenomeno (per es., lo spazio degli eventi relativo al lancio di un dado è costituito da 6 elementi, che corrispondono alle facce che il dado può mostrare). 2. Fuori del linguaggio filosofico, fisico e matematico, con valore relativo: a. Con riferimento ai corpi celesti, o anche a mezzi artificiali, l’ambiente, il luogo in cui essi sono e si muovono: l’esplorazione, la conquista dello s.; lanciare un satellite nello s.; con specifiche distinzioni, in astronomia e astronautica: lo s. cosmico; gli s. celesti; s. terrestre, o circumterrestre, quello a non grande distanza dalla Terra, divisibile in s. atmosferico e s. extraatmosferico; s. planetario, o interplanetario, quello occupato dal sistema solare; s. interstellare, la parte dell’universo non occupata da stelle; biologia, fisiologia, patologia dello s., settori specialistici che studiano le condizioni e i fenomeni relativi agli organismi nello spazio; in medicina, mal dello s., forma di chinetosi che si può osservare negli astronauti soprattutto nella fase iniziale della loro navigazione. b. In senso più generico, con riferimento al luogo o all’ambiente in cui si svolgono fenomeni, attività e fatti varî: s. materiale, quello occupato da corpi o da sistemi materiali, contrapp. a s. libero o vuoto; s. aereo, quello in cui si svolge la navigazione aerea e spaziale, con specifico riferimento alle norme di diritto nazionali e internazionali che la regolano, nelle quali si distingue uno s. atmosferico, sovrastante il territorio di uno stato e compreso nella sua sfera di sovranità, e uno s. extra-atmosferico, non soggetto ad alcuna sovranità statale; si parla inoltre di s. doganale con riferimento alle aree poste sotto la vigilanza e il controllo della Guardia di Finanza. c. Con valore più limitato, l’estensione entro la quale possono esercitarsi determinate funzioni e attività o determinarsi particolari processi, o che risulta circoscritta e delimitata da elementi varî, o occupata da corpi e oggetti materiali: dall’alto della torre la vista si stende per un ampio s. (o anche, al plur., per vasti s.); interminati Spazi di là da quella [siepe], e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo (Leopardi); in questa stanza non c’è s. per un altro mobile; s. libero, vuoto, utile; s. pubblico, lo spazio sovrastante o sottostante alle aree pubbliche, in partic. a strade e piazze, la cui occupazione mediante costruzione di balconi e verande, o impianto di cavi e condutture, è soggetta a una particolare tassazione a favore della provincia o del comune; s. verde, nell’ambito di un complesso urbano, zona adibita a giardino pubblico, o comunque ricca di vegetazione. d. In architettura, quella parte dell’atmosfera che è in qualche modo definita da strutture architettoniche, sia all’interno degli edifici, sia all’esterno di essi, e che ha un significato estetico soprattutto nell’architettura spaziale; lo s. esterno (detto anche s. atmosferico), risultante dalla composizione architettonica esterna, tanto dei singoli edifici, quanto di complessi di fabbricati, assume quindi particolare importanza nell’urbanistica. e. Per estens., nelle arti figurative, il rapporto spaziale che intercorre tra gli oggetti rappresentati e che mette in rilievo, con effetti estetici, i loro valori volumetrici relativi; di qui, nel linguaggio della critica musicale, s. sonoro, lo spazio o l’intervallo relativo in cui sono organizzati i suoni (così come si organizzano tra loro le strutture di un’opera architettonica o figurativa). f. Con riferimento a una determinata estensione del terreno o del suolo (quindi, spesso, a due sole dimensioni, e come sinon. di area, zona, o di estensione, territorio): campi, prati, boschi che si estendono per un ampio s.; tenute, complessi industriali che occupano un grande s.; una città stretta tra mare e monti, dove non c’è più s. per edificare. Nel linguaggio politico, s. vitale, traduzione corrente del ted. Lebensraum (v.), con la quale si indica l’estensione territoriale indispensabile, secondo la visione della geopolitica (v.) e del nazionalsocialismo, affinché un popolo e uno stato possano avere le necessarie risorse e possibilità economiche di vita e di sviluppo, e quindi le necessarie garanzie di autonomia e di sicurezza (la formula è stata resa celebre da A. Hitler nella sua opera programmatica Mein Kampf e posta a fondamento della sua politica espansionistica). g. L’estensione materiale che occupa, o può occupare, un testo stampato, scritto a mano o dattiloscritto, sia come numero di pagine o di colonne, sia come parte di una pagina: un giornale che dedica molto s., o poco s., alla cronaca cittadina; l’articolo non può essere pubblicato per mancanza di s.; si sono dovuti operare alcuni tagli al resoconto del discorso per economia di s.; volevo aggiungere qualche riga anch’io, nella lettera, ma non c’è più s., e mi limito ai saluti. Con sign. analogo, il tempo dedicato o riservato da emittenti radiotelevisive a determinate trasmissioni o rubriche, o comunque disponibile per particolari settori: chiedere più s. per i programmi culturali; limitare lo s. per la propaganda politica; il pubblico protesta per l’eccessivo s. riservato alla pubblicità, e sim. Per estens., anche con riferimento ad altre attività o manifestazioni: nella presentazione dell’opera al pubblico, è stato dato troppo poco s. ai due autori, che pure erano presenti. h. A un’espansione dell’uso prec., e insieme a una sovrapposizione delle altre accezioni generali della parola, è dovuta la larga diffusione che essa ha avuto, spec. nel linguaggio sociopolitico recente, per significare libertà di movimento e di azione, o di avanzamento e riuscita, e più spec. possibilità di partecipazione e d’intervento decisionale di una o più categorie in determinati settori della vita sociale, politica, economica, culturale: dare, lasciare s. ai giovani; avere, non avere s. per l’attuazione di nuove iniziative o nuove imprese; i lavoratori dell’azienda sono in lotta per ottenere più s. nella programmazione della produzione; gli studenti chiedono più s. (o un loro s.) nella determinazione dei nuovi programmi d’insegnamento. Con sign. più generico, libertà di movimento, di azione e decisione nella sfera della vita privata e personale: volere, rivendicare un proprio s.; si è ritagliata un suo s. nell’ambito della famiglia; difendere il proprio s. personale. i. Con uso astratto e partic., in linguistica, s. semantico, in recenti teorie di semantica sperimentale, l’ambito semantico entro il quale si può collocare e può variare un determinato valore. 3. Con più decisa limitazione a due sole dimensioni (o addirittura, in qualche caso, a una sola, quella della lunghezza), il termine è frequente nell’uso com. per indicare l’intervallo di distanza che intercorre o che deve frapporsi tra due oggetti, strutture o persone: collocare le poltrone lasciando un sufficiente s. tra fila e fila per il passaggio degli spettatori; eravamo così pigiati che non c’era neanche lo s. per posare i piedi a terra; per lo s. di frenata o di frenatura, nella circolazione dei veicoli su strada, v. frenatura. Con accezioni partic.: a. Nella scrittura, e spec. nella scrittura a macchina, ciascuno degli intervalli tra parola e parola o tra due altri segni: lasciare un doppio s. tra due numeri; per dare rilievo alla parola, ho battuto uno s. tra lettera e lettera; con riferimento alla lunghezza della riga, si chiama spazio ogni singola battuta, sia di lettere o di altri segni, sia di effettivo intervallo tra parola e parola o tra segno e segno: pagina di 30 righe di 60 s. ciascuna. Con altro sign., l’intervallo che si pone tra riga e riga: battere un testo a uno, a due, a tre spazî. b. In tipografia, nella composizione del testo, si chiamano spazî gli intervalli bianchi tra lettera e lettera, e tra parola e parola (l’intervallo tra linea e linea si chiama propr. interlinea). Hanno lo stesso nome anche quegli elementi di altezza ridotta rispetto ai caratteri, che non vengono stampati, ma servono a distanziare fra loro parole, linee e pagine; si tratta dei cosiddetti bianchi tipografici, che si suddividono in bianchi lineari (interlinee, mezzerighe, righe, margini) e in spaziature; queste ultime comprendono gli spazî e i quadrati di tutti i corpi e hanno come unità di misura il quadratone, con i suoi multipli (il quadrato da due e il quadrato da tre, che lo contengono rispettivam. due o tre volte) e con i sottomultipli: il quadratino (che è la metà del quadratone), il terziruolo (che ne è la terza parte), lo spazio mezzano (la quarta parte), lo spazio fino o finissimo (che sono rispettivam. la sesta, l’ottava o la dodicesima parte). c. In musica, ciascuno degli intervalli tra riga e riga nel pentagramma, chiamati rispettivam. primo, secondo, terzo, quarto s., a cominciare dal basso. d. In araldica, l’intervallo del campo situato tra due pezze onorevoli o tra una pezza e i lati dello scudo; è detto s. di una pezza il posto da essa ordinariamente occupato nello scudo. e. Con i sign. insieme di intervallo, distanza e area, in anatomia e fisiologia, s. intercostale, quello che intercorre tra costa e costa (v. anche intercostale); s. morto, la prima parte delle vie respiratorie nella quale l’aria inspirata passa senza subire scambî con i gas ematici (cavità nasali, laringe, trachea, bronchi); in anatomia umana e comparata, s. interdentarî, quelli che sussistono tra dente e dente; in biologia generale, s. intercellulare, v. intercellulare. 4. Periodo di tempo, estensione nel tempo (per lo più seguito dalla determinazione, anche generica, del periodo stesso): l’opera dev’essere terminata entro un breve s. di tempo; la riforma verrà attuata nello s. di due anni; nello s. di poche ore la situazione cambiò completamente; la badessa, ... nello s. di un giorno, s’era ammalata ed era spirata (I. Calvino); durare quanto lo s. di un mattino, avere una durata brevissima, essere estremamente caduco (con riferimento alla corrispondente espressione fr. l’espace d’un matin del poeta F. de Malherbe: «elle a vécu ce que vivent les roses, L’espace d’un matin», Consolation à Du Périer, 1607); con uso assol.: Né so che s. mi si desse il cielo Quando novellamente io venni in terra (Petrarca). Nell’uso ant., più genericam., tempo: non sapendo fra me stesso stimare quanto stato fusse lo s. ch’io sotterra dimorato era (Sannazzaro). 5. letter. Agio, opportunità, possibilità: ella sapendo don Pietro esser preso, avendo s. di poter fuggire, non so perché se ne restò (Bandello). ◆ Dim. spaziétto e spaziettino, raro spazierèllo.