spellare
v. tr. [der. di pelle, col pref. s- (nel sign. 4)] (io spèllo, ecc.). – 1. a. Togliere, tirare fuori dalla pelle, con riferimento, come oggetto, ad animali morti dei quali s’intenda utilizzare la carne, la pelle o la pelliccia: le anguille, se spellate prima della cottura, risultano più delicate; s. un coniglio, un capretto, una foca; s. i castori, i visoni; nell’intr. pron., spellarsi, con riferimento ad animali vivi, perdere la pelle, cambiare la pelle: le lucertole si spellano una volta l’anno. b. Riferito come oggetto a persone vive, lo stesso, ma meno com., che scorticare o scuoiare, come forma di tortura: Marcantonio Bragadin, governatore veneziano di Cipro, fu spellato e poi ucciso dai Turchi. c. Per estens., fam., portare via un po’ di pelle, produrre un’escoriazione o una lacerazione: le scarpe nuove mi hanno spellato i talloni; come intr. pron.: ho preso troppo sole, e ora mi sto spellando tutto; nel cadere mi sono spellato una mano. 2. In senso fig., scherz., chiedere, per una merce o per delle prestazioni, un prezzo o un compenso esagerato: ieri sera in quel ristorante ci hanno spellato; è un negozio di gran classe, ma ti spellano! ◆ Part. pass. spellato, anche come agg., che è stato privato della pelle: un coniglio spellato; che ha un po’ di pelle portata via: un ginocchio spellato; naso spellato.