stomaco
stòmaco s. m. [lat. stŏmăchus, che è dal gr. στόμαχος «gola, stomaco»] (pl. -ci o -chi). – 1. a. In anatomia e fisiologia, organo fondamentale dell’apparato digerente dei vertebrati, che interviene nella trasformazione in chimo degli alimenti. Nell’uomo ha forma oblunga e incurvata ed è posto nella cavità addominale, al di sotto del fegato e del diaframma: fa seguito all’esofago e prosegue con il duodeno, dai quali è separato per mezzo di due sfinteri, rispettivam. il cardias e il piloro; la parete gastrica consta di 4 tuniche (sierosa, muscolare, sottomucosa e mucosa), ed è tappezzata internamente da numerosissime ghiandole secernenti acido cloridrico ed enzimi ad azione digestiva, che idrolizzano sostanze proteiche, alcuni lipidi e provocano la coagulazione del latte. Lo stomaco è anche sede di particolari fenomeni motorî, provocati dallo stimolo meccanico esercitato dai boli alimentari, e costituiti da una successione ritmica e alterna di onde peristaltiche che partono dal cardias e si propagano fino al piloro, determinando un rimescolamento del chimo, una più intima penetrazione del succo gastrico, la progressione del contenuto e lo svuotamento del viscere. b. Frequenti nell’uso com. le espressioni riempire, riempirsi lo s., mangiare in abbondanza; a s. vuoto, pieno (lo stesso, ma meno volg., che a pancia vuota, piena); avere uno s. forte, di ferro, di struzzo, capace di digerire ogni cosa o, al contrario, avere uno s. delicato; un brodo ristretto che conforta, aggiusta, rimette lo s.; un cibo che guasta lo s., pesante allo s.; e, con riferimento alla patologia dello stomaco (per cui v. anche gastrico e i composti con gastro-), avere mal di s., un disturbo di s. o lo s. in disordine; languore o languidezza di s., v. languidezza; avere, sentire pienezza, pesantezza, imbarazzo di s., sentire lo stomaco pieno o appesantito; dilatazione di s., gastrectasia; abbassamento di s., gastroptosi. c. Ant. e raro, con uso brachilogico, per «mal di stomaco»: stomachi e febbri ardenti fanno Parer la morte amara più ch’assenzio (Petrarca). d. In espressioni fam.: mettersi, fermarsi, piantarsi sullo s., di cibo che non si riesce a digerire, e in senso fig. di cosa o persona che non si riesce a sopportare; analogam. avere sullo s., non digerire, e fig. non sopportare; fare stomaco, o muovere, rivoltare lo s., provocare nausea, fare schifo, in senso proprio e fig. (discorsi che rivoltano lo s.); dare di s., vomitare; fare qualche cosa (di) contro s., contro voglia. 2. fam. Capacità di mangiare e digerire qualsiasi cosa e, in senso fig., di sopportare cose, persone, situazioni che dovrebbero provocare nausea, disgusto o, perlomeno, noia e stanchezza: ci vuole un bello s. a buttar giù quella brodaglia; che s. ha avuto a sposare un uomo di trent’anni più vecchio! 3. fig., ant. Disgusto, sdegno: con molto s. et indignazione esclamavano che sarebbe grand’assordità se Dio non facesse differenza da uno che vive naturalmente con onestà ad uno immerso in ogni vizio (Sarpi). ◆ Dim. stomachino, stomacùccio, stomaco debole, delicato, spesso in frasi iron. (ti farà male allo stomachino; come va lo stomacuccio?); accr. stomacóne; pegg. stomacàccio.