supplizio
supplìzio (ant. supplìcio) s. m. [dal lat. supplicium, der. di supplex -plĭcis «supplice»; propr. «il piegarsi delle ginocchia»]. – 1. a. Pena corporale che comporta gravi sofferenze e lesioni: il s. della flagellazione; il s. del taglio delle mani, come punizione, soprattutto nel passato, di colpevoli di furto; condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accusati d’aver propagata la peste (Manzoni). S. capitale, o l’estremo s., la pena di morte; anche con uso assol.: fu condotto al s., a morte; il s. di Cristo sulla croce. b. Con sign. più generico, pena: Ben che io sia certa ... Ch’io porterò del mio parlar supplizio, ... Pur son disposta non celarti il vero (Ariosto). Con riferimento alle pene inflitte nella vita ultraterrena dalla divinità agli uomini come punizione delle loro colpe: il s. di Prometeo, di Sisifo, nella mitologia greca; il s. delle fiamme dell’inferno, nella religione cristiana. In partic., il s. di Tantalo, la pena inflitta dalla divinità a Tantalo, mitico figlio di Zeus e di Plutide, condannato per le sue colpe (tra cui l’uccisione del proprio figlio Pelope per imbandirne le carni al banchetto degli dei) a essere sempre affamato e assetato, non riuscendo mai a prendere il cibo e l’acqua, che illusoriamente erano alla sua portata, ma in realtà per lui sempre lontani e irraggiungibili; l’espressione è spesso usata in senso fig. per indicare la tormentosa situazione di chi vede o ha a portata di mano ciò che desidera, senza poterne usufruire. 2. fig. Grave tormento o patimento, materiale o morale: assistere impotenti al s. di un proprio caro affetto da un terribile male; soffrire il s. della fame, della sete, dell’insonnia; spesso iperb.: queste scarpe strette sono un s.; ascoltarlo per due ore di seguito è stato un vero s.; che s., quest’attesa!