supremo
suprèmo (ant. supprèmo) agg. [dal lat. supremus, superl. di supĕrus «superiore, che sta sopra»]. – 1. letter. Che sta nel posto più alto, che è al di sopra di ogni altra cosa: Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo De l’alta ripa (Dante); le parti supreme [la fronte e gli occhi] Eran avvolte d’una nebbia oscura (Petrarca); anche riferito a persona: poi col supremo auriga Arduo consiglio ne terrai (Parini), col cocchiere che siede in alto, a cassetta. 2. fig. a. Il più alto ed elevato, altissimo, massimo: della vostra benivolenzia, la quale mai da me in sì suppremo grado non fu meritata (Boccaccio). Con riferimento a Dio: l’Ente s.; il s. ordinatore dell’universo; tale eclissi credo che ’n ciel fue, Quando patì la supprema possanza (Dante), quando Gesù Cristo fu crocifisso. Con riferimento a ordinamenti gerarchici o a posizioni di effettiva preminenza: il capo s. dello stato; esercitare il s. potere; il comando s. delle forze armate; il s. organo giudiziario, la S. Corte di Cassazione (chiamata anche, abbreviatamente, la Suprema Corte). b. Estremo, ultimo, in usi letter. o enfatici: l’ora s., il giorno s., l’ora, il giorno della morte; i s. addii; a Giove Mandò il voto supremo (Foscolo), l’ultimo voto in punto di morte. c. Grandissimo, sommo: pregustare la gioia s.; vivevano i mortali in quella suprema miseria che eglino sostengono insino ad ora (Leopardi). ◆ Avv. supremaménte, sommamente, in massimo grado: essere supremamente felice.