televisibile
s. m. e f. e agg. (iron.) Personaggio noto al pubblico della televisione; adatto al pubblico televisivo. ◆ «La storia di Cirano», che il regista Gabriele Vacis e il protagonista Eugenio Allegri hanno adattato dall’originale partendo da un’idea di [Alessandro] Baricco, è un rifacimento formato monologo nel filone di quel teatro di narrazione che si è rivelato così televisibile, tanto che lo Stabile del Veneto se ne è assunto la coproduzione. (Franco Quadri, Repubblica, 16 febbraio 2000, p. 55, Spettacoli) • Da quando il relativismo morale e la trasgressione stereotipata sono venuti a nausea, si è cominciato a parlare di ritorno ai valori. Salvo accorgersi che, per poter tornare, quei valori avevano bisogno di qualcuno che li comunicasse. Un attestato di autorevolezza che nel villaggio globale non appartiene più al nonno, al parroco o al maestro di scuola, ma ai televisibili. (Massimo Gramellini, Stampa, 2 marzo 2005, p. 1, Prima pagina) • C’è un equivoco profondo anche nel modo in cui ci siamo abituati a leggere le differenza fra cattolici e protestanti. È legata a questo errore sul visibile e l’invisibile, l’interiorità e la vita comune, radice purtroppo della suprema blasfemia: non solo tentare di possedere il divino in formule umane («noli me tangere»: questo chiede il Risorto!) ma addirittura farne bandiera di una parte politica. Questo errore ha legato troppi cattolici professi alla peggiore fra le due possibilità di intendere l’importanza del visibile, del sensibile, del temporale. Non l’acqua, il fuoco, il lupo e la sorella morte di Francesco, ma il campo di battaglia e la pubblica piazza. Non lo splendore del visibile ma l’infinita disputa televisibile. (Roberta De Monticelli, Repubblica, 27 febbraio 2008, p. 33, Commenti).
Composto dal confisso tele-3 aggiunto all’agg. visibile.
Già attestato nel Corriere della sera del 15 agosto 1995, p. 20 (Roberto Pazzi).