televisionaro
s. m. (iron. spreg.) Chi fa televisione. ◆ la scorciatoia [per diventare simboli] […] è stata servita su un piatto d’argento da televisionari, palinsestisti, esteti dell’audience sgomitante, teorici della volgarità «intelligente». (Michele Serra, Repubblica, 4 febbraio 2002, p. 18, Politica interna) • È il pubblico che oggi impedisce di farla, la televisione. Così giurano i televisionari più autorevoli (scusate l’ossimoro). (Als Ob, Sole 24 Ore, 30 gennaio 2005, p. 43, In scena) • Chi fa tv è sinceramente convinto di dover addomesticare un branco di cretini che, anche se ogni tanto vanno a teatro o a una mostra, quando si siedono davanti al video vogliono soltanto vedere corpi volgari, battute sceme e gare di rutti. Sarebbe bello sapere da quale ricerca segretissima i televisionari traggono queste loro incrollabili certezze. (Massimo Gramellini, Stampa, 15 maggio 2007, p. 1, Prima pagina).
Derivato dal s. f. televisione con l’aggiunta del suffisso -aro.
Già attestato nella Stampa del 24 marzo 1992, p. 21, Spettacoli (Simonetta Robiony).