tirchio /'tirkjo/ [forse dall'ant. e dial. pirchio, ravvicinato a tirare]. - ■ agg. [che è restio nello spendere] ≈ avaro, gretto, (region.) guitto, (spreg.) pidocchioso, (spreg.) rognoso, (spreg.) spilorcio, (spreg.) taccagno, (region.) tignoso. ↔ generoso, largo, liberale, (lett.) munifico, splendido. ■ s. m. (f. -a) [persona tirchia] ≈ avaro, (pop.) cacastecchi, (region.) guitto, (spreg.) pidocchio, (spreg.) pitocco, (scherz.) scozzese, (spreg.) spilorcio, (spreg.) taccagno. ↔ generoso. ↑ scialacquatore, (fam.) spendaccione.
tirchio. Finestra di approfondimento
Chi vuole accumulare - Numerosi sono i termini, più o meno spreg. o scherz., che qualificano una persona che non vuole spendere, che preferisce risparmiare e accumulare guadagni. Si distingue in genere tra avaro e avido, dato che il primo termine è riferito a una persona che non ama spendere (poiché ossessionata dall’idea di diventare povera o di non far vedere agli altri quanto è ricca), mentre il secondo a una persona che ha l’ossessione di accumulare soldi e vorrebbe averne sempre di più: i domestici vanno dicendo che è molto avaro (A. Fogazzaro); il vecchio mercante, avido e sospettoso, dubitava dell’onorevolezza del galantuomo (C. Goldoni). Avido ha un campo semantico più vasto, poiché può riferirsi alla brama di possedere cose diverse dal denaro: avido di successo, di potere, di conoscenza, di idee, di cibo, di piaceri, ecc. I sinon. di avido sono meno numerosi di quelli di avaro. Lett. sono bramoso e cupido, anch’essi frequenti in senso estens.: cupido più di gloria che di danari (F. De Sanctis). Goloso e ingordo si riferiscono spec. alla voglia di cibo, e solo in senso fig. possono alludere ad altre voglie (soprattutto il secondo agg.): avido di quattrini, ingordo d’autorità (F. De Roberto). Analogamente affamato e, per la voglia di bere, assetato, abbastanza com. in accezioni metaforiche: assetato di vendetta. Desideroso e voglioso indicano un grado più attenuato del desiderio, in generale, benché voglioso sia spesso usato, anche assol. e nel linguaggio fam., con riferimento a desideri sessuali: a quell’età i giovanotti sono sempre vogliosi.
Chi non vuole spendere - Numerosi sono invece i sinon. di avaro, il più com. dei quali è t.: è così tirchio che non la invita mai al ristorante. Più formale è gretto mentre di valore leggermente attenuato (o eufem.) è tirato: in vacanza è sempre un po’ tirato, per paura di rimanere senza soldi. D’uso fam. e spreg. (ma talora anche scherz.) sono pidocchioso, spilorcio, taccagno e il region. micragnoso, che indicano una tirchieria particolarm. accentuata e fastidiosa, perché riferita anche a spese minime: fammi il piacere: non essere ipocrita, oltre che spilorcio! (L. Pirandello); i genitori taccagni gli davano il minimo indispensabile. Meschino può essere un sinon. ricercato di tirchio. Anche avaro e tirato (ma non i suoi sinon., se non con metafore particolarm. espressive) possono avere accezione estens., sebbene più raram. di avido: si può essere dunque avaro di parole, di complimenti; tirato di voti, ecc. Tutti questi agg. possono essere usati come sost. (mi pare che quel signore sia un bello spilorcio [C. Goldoni]), anche se vi sono alcuni termini espressamente dedicati a tale funzione. Si tratta dei fam. (spreg. o scherz.) pittima, pidocchio e pitocco: offri da bere a tutti, non fare il pitocco! Tipico del dialetto roman. è pulciaro: quel pulciaro ha rivoluto subito tutti i soldi. Ancorché di solito riferiti a persone molto povere e malvestite (con connotazione spreg.), pezzente, straccione e il fam. morto di fame possono essere utilizzati nel sign. di «persona molto tirchia». Del resto, lo stesso pitocco vuol dire, segnatamente, «mendicante» e, in genere, tutta la sfera dell’avarizia appare correlata a quella della povertà, nel senso di «comportarsi da povero pur essendo ricco». Anche l’agg. sordido, dall’originario sign. di «molto sporco», è talora usato come sinon. formale di t.: è sordido, avaro, e non darebbe un quattrino, chi l’appiccasse (C. Goldoni). Chi non ama definirsi t., userà degli agg. dal sign. più attenuato: economo, oculato, parsimonioso, e il sost. risparmiatore: se non vi aumento lo stipendio è perché sono economo e penso al bene dell’azienda.
Contrari - Chi, al contrario, ama donare agli altri è detto, nel modo più generico, generoso. Largo e munifico sono più formali e, di solito, anche più intens., riferiti a elargizioni particolarm. consistenti: il palazzo fu un dono del suo munifico suocero. Analogo, benché di sign. più generale e non limitato soltanto al donare e allo spendere per gli altri, è magnanimo (generoso nel dare ma anche nel perdonare): con noi è sempre stato magnanimo, non facendoci mancare nulla. Il ricercato prodigo e il fam. spendaccione indicano un grado più accentuato di generosità, fino a rasentare il difetto di chi non sa apprezzare il valore del denaro, spendendolo anche per cose futili, per il mero gusto del consumo o dell’ostentazione: chi loda la sua generosità, chi lo condanna per prodigo (C. Goldoni). Fam. è sprecone, d’uso più generale di spendaccione: mentre quest’ultimo termine è limitato alle spese vere e proprie, con sprecone si designa anche chi, per es., consuma troppa acqua, luce, gas e sim. Alcuni sost. designano tali persone, in modo intens.: dilapidatore (per chi consuma intere fortune), dissipatore, scialacquatore. Analoga, e d’uso fam., è l’espressione di manica larga, riferita sia a chi spende o dona in maniera eccessiva, sia, più spesso, a chi è troppo generoso nelle valutazioni: un professore di manica larga, che dà il massimo dei voti a tutti gli alunni. Sempre proprie del linguaggio fam. sono altre espressioni idiomatiche che designano l’azione dell’essere troppo spendaccioni, anche acquistando cose inutili: buttare i soldi,spendere e spandere e avere le mani bucate: quando entra in un negozio ha le mani bucate e comprerebbe ogni sciocchezza. Connotata positivamente è invece l’espressione non badare a spese: quando si tratta dei figli, Mario non bada a spese.