travedere
travedére v. intr. e tr. [comp. di tra- e vedere] (coniug. come vedere), non com. – 1. intr. (aus. avere) Ingannarsi nel vedere, cioè vedere ciò che non è o una cosa per un’altra, prendere un abbaglio: ma voi travedete: quella laggiù non è la villa, è una chiesa!; Quivi abitan le maghe che incantando Fan traveder e traudir ciascuno (T. Tasso). In senso fig., ingannarsi nel giudicare e nel valutare, dare un giudizio, una valutazione o un’interpretazione che non rispondono alla realtà, per mancanza di spirito critico e di capacità, o anche di obiettività: tu travedi, se credi che sia io l’autore dell’imbroglio; nella spiegazione di questo verso, il commentatore ha traveduto; l’orgoglio, la passione lo fa t.; t. per qualcuno, amarlo tanto che ne è turbata la serenità del giudizio: mamme che travedono (o stravedono) per i loro figli. 2. tr. Intravedere, cioè vedere appena, indistintamente, a tratti, o attraverso un corpo che lascia e non lascia vedere: le tende appena accostate lasciavano t. l’interno della stanza; anche in senso fig.: con qualche accenno mi fece t. la verità; ci ha lasciato t. qualche debole speranza; i parenti cominciavano a t., a sospettare, a informarsi qual cosa alterasse l’animo di lei (D’Azeglio). ◆ Part. pres. travedènte, raro e letter. con funzione di agg. (nel sign. intr.): all’occhio così attento, e pur così travedente, del sospetto (Manzoni).