triviale
agg. [dal lat. trivialis, der. di trivium «trivio»; le accezioni del n. 2 a sono influenzate da usi analoghi fr., ingl. e ted., e in partic. è un calco dall’ingl. l’uso matematico]. – 1. Da trivio, e quindi plebeo, volgare, sguaiato, di una grossolanità scurrile: modi, maniere, parole, frasi t.; un’espressione t.; un gesto, uno scherzo t.; comportamento, contegno t. (e sostantivato al masch., con valore neutro e collettivo: evitare il triviale; quel film è l’apoteosi del triviale). Riferito a persona che nelle parole e negli atti mostri trivialità: è un uomo t.; che donna triviale! 2. a. Ovvio, banale, dozzinale; anche come s. m.: La molla principale della poesia eroicomica e in genere giocosa consiste nel contrasto fra il solenne e il t. (B. Migliorini). In partic., nel linguaggio della critica letteraria e stilistica, letteratura t. (calco del ted. Trivialliteratur, v. la voce), genere letterario t., di largo consumo, di massa, caratterizzati da scarso impegno tematico e formale: narrativa t., poesia triviale. b. Come sinon. di ovvio, banale è usato anche in matematica e in altre scienze: per es., si parla talvolta di dimostrazione t., ed è detta soluzione t. o soluzione banale di un sistema di equazioni omogenee la soluzione nella quale tutte le incognite hanno valore zero. ◆ Dim. trivialùccio, alquanto triviale; accr. trivialóne e pegg. trivialàccio, entrambi soprattutto come s. m. (f. -a) e riferiti a persona: sei un trivialone!; non posso sopportarla, quella trivialona; è un trivialaccio. ◆ Avv. trivialménte, in modo triviale: parlare, esprimersi, comportarsi trivialmente.