uccidere /u'tʃ:idere/ [lat. occīdĕre] (pass. rem. uccisi, uccidésti, ecc.; part. pass. ucciso). - ■ v. tr. 1. a. [privare della vita in modo violento: u. qualcuno con una fucilata] ≈ (fam.) accoppare, ammazzare, assassinare, eliminare, (fam.) fare fuori, (fam.) fare la pelle (a), (pop.) fare secco, liquidare, (fam.) mandare all'altro mondo, sopprimere, (fam.) togliere di mezzo, togliere la vita (a), (pop.) torcere il collo (a), [con arma da fuoco] freddare. ⇓ affogare, fucilare, impiccare, soffocare, strozzare. b. [causare bruscamente la morte di qualcuno: è stato ucciso da una polmonite] ≈ (fam.) mandare all'altro mondo, stroncare. c. [causare la morte di un animale: u. un cavallo malato] ≈ abbattere, finire. 2. (estens.) [causare la morte di una pianta: il gelo, il caldo eccessivo uccide gli arboscelli] ≈ bruciare, seccare. 3. (fig.) a. [provocare la scomparsa di un valore, un ideale e sim.: la dittatura uccide la libertà] ≈ ammazzare, cancellare, distruggere, soffocare, sopprimere, spegnere. ↓ mortificare, opprimere. ↔ esaltare. b. [indurre depressione, avvilimento e sim., anche assol.: la noia uccide] ≈ ammazzare, spegnere. ↓ deprimere, mortificare, opprimere. ↔ appagare, esaltare. ■ uccidersi v. rifl. 1. [procurare la morte a sé stessi: u. con un colpo di fucile] ≈ ammazzarsi, darsi la morte, (fam.) farla finita, (non com.) porre fine ai propri giorni, suicidarsi, togliersi la vita. 2. (fig.) [ridursi a estrema stanchezza per la fatica, per lo più con la prep. di: u. di lavoro] ≈ ammazzarsi, sfiancarsi, sfinirsi. ↓ stressarsi. ■ v. recipr. [darsi vicendevolmente la morte: spesso gli uomini si fanno guerra e si uccidono] ≈ (fam.) accopparsi, ammazzarsi. ■ v. intr. pron. [incontrare la morte: si è ucciso sbandando con la motocicletta] ≈ ammazzarsi, (burocr.) decedere, morire, perdere la vita.
uccidere. Finestra di approfondimento
Togliere la vita - Numerosissimi sono i verbi con i quali si designa l’atto del togliere la vita a qualcuno, vari a seconda del mezzo usato, della sfumatura stilistica e del grado di efferatezza. I termini più com. sono u. e ammazzare, il secondo più fam. del primo e limitato, per lo più, a morti violente e provocate da persone: un terribile incidente lo uccise a trent’anni; io ho ammazzato mia moglie, sono io l’assassino (A. Oriani). Inoltre, ammazzare si presta anche a espressioni iperb., come ammazzarsi di lavoro, dal ridere ecc. Quasi tutti i sinon. si riferiscono a morti inferte con violenza: accoppare, fare fuori, fare la pelle (a), mandare all’altro mondo, togliere di mezzo, tutti marcati in senso fam.: il povero don Diego si vide puntate sotto il naso otto braccia nerborute, buone da accoppare otto buoi (L. Pirandello). Com. è assassinare, mentre più formali sono abbattere, eliminare, liquidare e sopprimere, anch’essi riferiti a morti violente (e, almeno per assassinare, anche inflitte illegalmente), ma senza sottolinearne la crudeltà: mi vuoi abbattere, mi vuoi assassinare (C. Goldoni). Sopprimere, insieme ad abbattere e finire, è utilizzato anche per la morte inferta ad animali: il cane era affetto da una malattia incurabile, e dovemmo farlo sopprimere. Sterminare è limitato a stragi, e quindi a morti inflitte a un gran numero di persone: cento uomini che potevano sterminare i francesi a colpo sicuro (G. Verga). Anche massacrare e trucidare sono limitati per lo più a stragi, ma possono anche riferirsi ad una singola uccisione di cui si sottolinei la mostruosità: qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? (C. Beccaria).
Modi di uccidere - I verbi si diversificano secondo l’arma impiegata per uccidere. Se si usa un’arma da fuoco, il verbo adatto, e formale, sarà freddare; se si usa un coltello, accoltellare o, più formale, pugnalare. Alludono in genere ad armi da taglio anche scannare, squartare e sventrare, che possono anche riferirsi all’uccisione di animali ma che, se riferiti ad uomini, indicano la brutalità dell’atto e la profondità delle ferite (che in squartare provoca di solito il distacco di brani del corpo, così come in dilaniare, fare a pezzi, sbranare). Scannare equivale al più fam. sgozzare, ovvero «uccidere mediante recisione delle arterie del collo e della trachea»: tu che scannavi un cristiano per guadagnarti un grappino (C. Dossi). Sventrare equivale al più fam. sbudellare, ovvero «trafiggere il ventre fino a farne uscire le interiora». Se si provoca la morte di qualcuno per asfissia, immergendolo in un liquido, il verbo opportuno è affogare o il più formale annegare. Se l’asfissia è provocata senza immersione, soffocare. Se l’asfissia è indotta dalle mani strette intorno al collo, strozzare o il più formale strangolare. Se viene usato del veleno, avvelenare o, poet., attoscare e attossicare. Se si appende qualcuno a una corda, o sim., il verbo adatto è impiccare, o il formale appendere, o il fam. appiccare. E la lista potrebbe seguitare a lungo (bruciare, crocifiggere, decapitare, gassare, lapidare, murare vivo...), denotando la cospicua presenza della morte e della violenza nel nostro lessico e quindi nella nostra cultura: si osservi, di contro, l’esiguo ruolo dei contr. (graziare, salvare e pochi altri) e si veda a conferma la scheda morire.
Sostantivi - Quasi ogni verbo sopra elencato ha almeno un derivato. Soffermiamoci qui soltanto sui sost. più frequenti. Assassinio e uccisione sono senz’altro i più com., anche se il primo verbo, più del secondo, allude alla violenza e all’illegalità dell’atto: la giustizia cercava se era il caso di un assassinio per furto, o per altro motivo (G. Verga); non manca più, ormai, che l’ultimo quadro dell’uccisione della tigre (L. Pirandello). Delitto e omicidio sono sinon. di assassinio, ma il primo termine, nell’uso lett. o giur., indica in genere qualsiasi atto illecito penalmente perseguibile (è infatti der. di delinquere «venir meno al dovere») e, nell’uso fam., ha spesso valore iperb.: mischiare l’acqua al vino è un delitto. Se si uccidono molte persone, il termine più com. è strage, mentre ecatombe ed eccidio sono più formali. Molto com. sono anche massacro e sterminio, che sottolineano la brutalità. Ancora più brutale è la carnificina. Il termine novecentesco genocidio designa l’eliminazione di un intero gruppo etnico o religioso: il genocidio degli ebrei. Una piccola fetta del lessico della morte è dedicata all’assassinio legalmente riconosciuto, vale a dire la pena di morte (o pena capitale): esecuzione (capitale), supplizio (talora eufem.). Si dispone anche di un verbo eufem., assai com., per indicare l’uccidere legalizzato: giustiziare.
Chi uccide - Anche per chi uccide si dispone di un ampio ventaglio lessicale, a partire dal referenziale uccisore, al più com. assassino e al più formale omicida (che implicano sempre una morte inflitta illegalmente), all’ingl. killer, spesso usato come sinon. di sicario o esecutore materiale, ovvero chi esegue un omicidio su commissione di uno o più mandanti: sono stati catturati i sicari, ora la polizia sta cercando il mandante. Chi procura la morte legalmente (mediante l’esecuzione della pena capitale) è il boia, termine spreg. e per questo usato anche in senso estens., per es. come imprecazione: va e racconta, figlio d’un boia! (G. D’Annunzio). Molto usati nel linguaggio giorn. sono mostro e serial killer (con i calchi, meno com., assassino seriale o, meno specifico della ricorsività, pluriomicida), alludendo il primo alla brutalità dell’atto (o, quasi sempre, della serie di atti), mentre il secondo al numero e soprattutto alle caratteristiche ricorsive delle morti: il mostro di Firenze; Sbatti il mostro in prima pagina (titolo di un noto film di M. Bellocchio, 1972). Un’ultima serie di termini formali designa infine assassini e assassinii particolari, per coloro che hanno ucciso il padre (patricida, patricidio), la madre (matricida, matricidio), il fratello (fratricida, fratricidio), la sorella (sororicida, sororicidio), un bambino (infanticida, infanticidio), la moglie (uxoricida, uxoricidio), un re o un tiranno (regicida, regicidio, tirannicida, tirannicidio).