urlare
v. intr. [lat. ŭlŭlare; v. ululare] (aus. avere). – 1. Emettere grida acute e prolungate, e ripetute, riferito a lupi, cani e ad altri animali: lupi che urlano nella notte; il cane, colpito, fuggì urlando; la belva ferita continuò a u. per varie ore dal folto della boscaglia. 2. estens. Riferito a esseri umani, emettere grida acute, prolungate e ripetute, per dolore o per forti emozioni: il ferito ha urlato tutta la notte; u. di paura o di spavento; u. di rabbia; u. come un ossesso, come una belva ferita; la folla si precipitò urlando verso le uscite; chiamare, protestare, rimproverare o incitare a voce molto alta e concitata: vengo, non urlare, non sono mica sordo!; il pubblico si alzò in piedi urlando contro l’arbitro; un gruppo di tifosi urlava a squarciagola per incitare la propria squadra; u. al soccorso; la si sentiva u. fin dalla strada contro il marito. Con uso trans., dire, proferire, esprimere a voce molto alta e concitata: u. minacce, ingiurie di ogni genere; mi urlò da lontano il suo nome; persa la pazienza, gli urlò che se n’andasse; u. la propria rabbia; cantare a voce spiegata, su toni molto alti: u. una canzone. 3. fig. Produrre un suono o un insieme di suoni acuti e prolungati, simili a urli: il vento urlava fuori della baita; si sentivano u. le sirene delle macchine della polizia. ◆ Part. pass. urlato, anche come agg., con valore passivo, nell’espressione stile urlato, quello di cantanti di musica leggera che, ispirandosi agli interpreti del rock and roll angloamericano, sostituiscono allo stile melodico tradizionale l’urlo, cioè l’emissione spiegata, talora anche stridula e roca, della voce.