urlocrazia
s. f. Il potere derivante dal sapersi imporre, dal saper far valere le proprie richieste, arrivando perfino a urlare. ◆ Secondo gli autori [Andrea Monorchio e Luigi Tivelli] la vita politica corre il rischio «di giungere a una versione tutta italiana di democrazia, che oseremmo definire “cicalecciocrazia”. Cioè un confronto continuo e assordante, fatto di un alternarsi perenne di dichiarazioni e controdichiarazioni, quasi sempre scollegate dai problemi concreti del Paese». Una variante della «cicalecciocrazia» è poi «l’urlocrazia», «basata sul fatto che chi urla di più è destinato a lasciare più il segno, a guadagnarsi la ribalta». (Corriere della sera, 16 luglio 2001, p. 6, In primo piano) • «Cicalecciocrazia». È questo il modello vigente nel modo di far politica in Italia, racchiuso nell’ultimo libro di Luigi Tivelli. L’autore, consigliere parlamentare della Camera dei deputati e commis di Stato al servizio di vari governi, nel suo «Questionando. Le sei questioni che bloccano l’Italia» conia questo neologismo, accompagnato da quello di «urlocrazia» (nei momenti in cui in politica prevalgono le urla) nel capitolo relativo alla questione politica. (Stampa, 28 aprile 2006, p. 12, Politica).
Composto dal s. m. urlo con l’aggiunta del confisso -crazia.