uscio
ùscio s. m. [lat. ōstium «porta, entrata», lat. tardo ūstium, affine a os oris «bocca, apertura»]. – 1. Sinon. di porta (apertura e serramento), usato ormai quasi esclusivam. in Toscana, dove indica in genere una porta di modesta apparenza e di modeste dimensioni. a. Come apertura, vano di passaggio praticato nella parete: l’u. di casa; l’u. davanti, di dietro, posto sul davanti, sul di dietro dell’edificio; l’u. della bottega; l’u. di camera, di cucina, di salotto; l’u. della cantina, della soffitta; chiudere, aprire l’u.; serrerai ben l’u. da via e quello da mezza scala e quello della camera (Boccaccio); passare per l’u.; affacciarsi all’u.; farsi sull’u., avvicinarsi a esso, affacciarvisi; L’artigiano a mirar l’umido cielo, Con l’opra in man, cantando, Fassi in su l’uscio (Leopardi); mettersi sull’u., stare sull’u.; Sta il cacciator fischiando Su l’u. a rimirar Tra le rossastre nubi Stormi d’uccelli neri (Carducci). Fig., poet., passaggio, luogo d’uscita: aperta la via per gli occhi al core, Che di lagrime son fatti u. e varco (Petrarca). b. Con riferimento all’imposta o alle imposte con le quali si apre o si chiude l’apertura: u. a vetri; u. a un battente, a due battenti; fermare l’u. col paletto, sprangare l’u.; sbattere l’u.; accostare l’u., avvicinando l’imposta allo stipite o le imposte tra loro; la serratura, la chiave dell’u.; prendere, infilare l’u., svignarsela in fretta attraverso l’uscio. 2. In alcuni modi di dire e in espressioni prov., d’uso soprattutto tosc., nei quali la parola uscio non potrebbe essere sostituta da porta: essere a uscio e bottega, di chi ha la bottega vicinissima a casa, o di persone che abitano vicinissime; avere il male (o il malanno) e l’u. addosso, avere una disgrazia dopo l’altra, oppure avere il danno e le beffe; il peggio passo è quello dell’u., il momento più grave è quello del distacco da una persona, oppure il momento più difficile è quello in cui si deve prendere una risoluzione; essere, trovarsi fra l’u. e il muro, stretto fra difficoltà diverse e ugualmente gravi, incalzato da due parti (o anche, essere debole e malaticcio); meglio un morto in casa che un Pisano all’uscio, per sottolineare la diffidenza e la malevolenza, soprattutto dei Fiorentini e dei Livornesi, verso i Pisani. ◆ Dim. uscétto, uscino, usciòlo, uscettino, usciolétto, usciolino; pegg. usciàccio: un usciaccio intarlato e sconnesso, era rabbattuto, senza chiave né catenaccio (Manzoni).