v, V
(vu, meno com. vi, ant. o region. ve 〈vé〉) s. f. o m. – Ventunesima lettera dell’alfabeto latino. Fino almeno al sec. 16° ha avuto una storia comune con la lettera U, di cui costituiva una variante di scrittura; e fino al sec. 19° ha conservato in comune con essa il nome, distinguendosi all’occorrenza la u «vocale» (la nostra u) dalla u «consonante» (la nostra v). L’una e l’altra hanno origine dalla sesta lettera dell’alfabeto fenicio, che rappresentava la semiconsonante u̯, attraverso la lettera greca υ, che dal primitivo valore di 〈u〉 vocale passò nella pronuncia ionico-attica a 〈ü〉 (primo effetto di una tendenza che nel greco medievale e moderno avrebbe finito col trasformare quel suono in 〈i〉), mentre la pronuncia u si conservò in altri dialetti greci. Dall’alfabeto greco della colonia calcidese di Cuma, già dall’ultima età regia, i Romani trassero la lettera V del loro alfabeto, col valore di u; ma nella grafia s’aggiunse presto alla forma normale della lettera una variante calligrafica arrotondata, U, che prese sempre più piede, spec. come minuscola, fino a diventare nel tardo medioevo la forma costante della lettera V come minuscola interna o finale di parola (es. tu, sua, diua). Nella pronuncia, alla 〈u〉 vocale s’accompagnò fin dall’origine una 〈u̯〉 semiconsonante, che si conservò inalterata dopo velare (es. aqua, lingua), ma nelle altre posizioni in cui si poteva trovare, cioè tra vocali o in principio di parola davanti a vocale, passò già in tarda età romana repubblicana al suono della 〈v〉 italiana (es. volo, cave). Così, per una quindicina di secoli, dall’età romana ai primi tempi della stampa, l’alfabeto latino ha rappresentato tre suoni 〈u, u̯, v〉 con una sola lettera, pur servendosi di due varianti di forma (u e v), l’alternarsi delle quali era determinato dalla posizione nella parola senza nessun riguardo al suono rappresentato di volta in volta. La distinzione funzionale tra la grafia u per la vocale (e semiconsonante) e la grafia v per la consonante entrò nell’uso definitivamente solo dalla seconda metà del sec. 17°, per il latino così come per l’italiano e per le altre lingue che si servono dell’alfabeto latino (per altre notizie, v. anche la voce u, U). Con riferimento alla V maiuscola è comune la locuz. aggettivale a V, per definire l’aspetto o la disposizione di oggetti che ne ricordino la caratteristica forma divergente: scollatura a V; in geografia fisica, valli a V, le valli fluviali, così dette per la forma che presentano in uno spaccato frontale; in meccanica, motore a V, con riferimento alla disposizione dei cilindri in motori policilindrici (per es. in alcuni tipi di automobili, per lo più di grossa cilindrata), quello in cui gli assi dei cilindri sono contenuti in due semipiani concorrenti, con un angolo di 60° o 90°, in una retta coincidente (o parallela) all’asse dell’albero a gomiti: un motore 6V, oppure 8V, motori a 6 o a 8 cilindri disposti a V. ◆ In italiano, la lettera v rappresenta la consonante labiodentale fricativa sonora, che, come la maggior parte delle altre consonanti, può essere di grado tenue (es. avito, bevi) o di grado rafforzato (es. avvito, bevvi) quando si trova in mezzo a due vocali (come negli esempî citati), o tra vocale e liquida (caso, questo, frequente per il grado tenue, es. avrò, dovrei, rarissimo invece, o puramente ipotetico, per il grado rafforzato, in gruppi vocale + vvr- o vvl-), mentre in ogni altra posizione è sempre di grado medio (es. invito, cervo). In genere, nei vocaboli di origine latina, la v italiana è la regolare continuazione della v latina, sia in posizione iniziale (es. venire, lat. venire), sia dopo consonante (selva, lat. silva), sia tra vocali (lieve, lat. levis); in alcuni casi, per l’affinità che v’era in latino tra v e b (che in età imperiale, pur distinguendosi in principio di parola e dopo consonante, si confusero tra loro in altre posizioni), può essere esito di b latina tra vocali (per es., provare, lat. probare), e in alcune voci anche di p latina tra vocali o tra vocale e r (per es., ricevere, lat. recipere; sopra e sovra, lat. supra). La v italiana doppia nasce il più delle volte, così in parole popolari come in parole dotte, per assimilazione dai gruppi latini dv o bv (es. avvenire, lat. advenire; avvocato, dal lat. advocatus; ovvio, dal lat. obvius). In qualche caso si è avuta l’epentesi di una v dopo una u o una o atone in iato (es. Mantova, lat. Mantua; Giovanni, lat. Ioannes). In altri casi invece una v intervocalica è caduta (es. rivo e rio, nativo e natio): fenomeno che nell’uso antico o poetico s’estende a tutti gli imperfetti in -e(v)a, -e(v)ano, -i(v)a, -i(v)ano (es. dicea per diceva, diceano per dicevano), e nel moderno vernacolo fiorentino si estende praticamente a tutti i casi di v tra vocali, o tra vocale e r (es. arò per avrò, la oglia per la voglia). ◆ Usi della lettera come abbreviazione o simbolo: nella forma minuscola puntata, è abbrev. di vedi o vedasi, o anche, talora, del lat. vide, aggiunto, per lo più in parentesi, a un vocabolo o titolo d’opera a cui si rinvia (in espressioni composte: v.s., vedi sopra); di verbo, in opere lessicografiche, grammaticali, linguistiche (in espressioni composte: v. a., verbo attivo; v. tr., verbo transitivo; v. intr., verbo intransitivo; v. rifl., verbo riflessivo); di verso, seguito da un numero, per indicare il verso di una composizione poetica, per es., il v. 78 dei «Sepolcri» (ma v senza punto, come abbrev. di verso per indicare la faccia posteriore della pagina di un codice, di un manoscritto, oppure di una medaglia o moneta); di voce come sinon. di vocabolo, in opere lessicografiche; nella forma v. o v/ è abbrev. di vostro nell’epistolografia commerciale; abbrev. di venturo solo nella locuz. composta p.v., prossimo venturo; nei cognomi tedeschi, è abbrev. di von. Nella forma maiuscola puntata, è abbrev. di nomi proprî personali che cominciano con questa consonante (Vincenzo, Valeria, ecc.), di Vergine, dopo il nome di una santa (s. Caterina V.) e nelle espressioni M. V., Maria Vergine, B. V., Beata Vergine; di vescovo, dopo il nome di un santo (sant’Agostino V.); di vice, per es. V. Com.te, vice-comandante; in espressioni composte, è abbrev. di vostro (V. E., Vostra Eccellenza, S. V., Signoria Vostra, ecc.); di volgare, in E.V., era volgare; di velocità in P.V., piccola velocità, G.V., grande velocità, nelle spedizioni per ferrovia (vedi anche V.A.). In chimica, V è simbolo dell’elemento vanadio; in fisica, è simbolo del volt; v e V sono anche simbolo, rispettivam., di velocità e di volume; nel linguaggio automobilistico, con riferimento a motori policilindrici endotermici, v è abbrev. di valvola, soprattutto quando il numero delle valvole è superiore a due per cilindro: un motore a 16 v, un motore a 8 cilindri e a 32 v; in matematica, v rappresenta la lunghezza (o modulo) di un vettore, e v oppure M̅ il vettore stesso; in logica matematica, V indica il valore di verità vero (contrapp. a F che sta per falso). Nel sistema di numerazione romana, il segno V (che non è tutt’uno con la lettera V maiuscola pur essendole simile per la forma, ma ha altra origine) indicava il 5 nella successione cardinale e il corrispondente ordinale, cioè 5° o quinto (in composizione: VI, VIII, XIV, cioè 6, 8, 14, ecc.); sormontato da una lineetta orizzontale, V¯, significava 5000. ◆ Nel codice alfabetico internazionale, la lettera v viene convenzionalmente identificata dal nome Victor.