vagare
v. intr. [dal lat. vagari o vagare, der. di vagus «vagante, instabile»] (io vago, tu vaghi, ecc.). – 1. (aus. avere) Andare qua e là, spostarsi da luogo a luogo senza direzione o meta prestabilita, e in genere senza regolarità e continuità: v. per il mondo (in cerca di fortuna, di felicità); il pietoso Enea sbandito cominciò per lo mare a v. (Boccaccio); di animali: cavalli bradi che vagano per la prateria; per estens., di cose: nuvole che vagano per il cielo; Una dolce aura che ti par che vaghi A un modo sempre (Ariosto). Frequente in usi fig.: v. con la fantasia; la mente vaga di pensiero in pensiero; Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme Che vanno al nulla eterno (Foscolo); un vagar faticoso dietro a desidèri che non sarebbero mai soddisfatti (Manzoni); ti vagano davanti sconnesse le immagini accumulate in tanti anni (Pirandello). 2. (aus. essere) ant. Divagare: ma da ritornare è, per ciò che assai vagati siamo, o belle donne, là onde ci dipartimmo e l’ordine cominciato seguire (Boccaccio). ◆ Part. pres. vagante, con valore participiale, che vaga, errante: uno spirito inquieto vagante di terra in terra; mandrie vaganti per i campi; api vaganti di fiore in fiore; nubi vaganti nel cielo; su le chiare Acque vaganti intorno all’ara e al bosco (Foscolo); anche come agg. (v. la voce).