valore
valóre s. m. [dal lat. tardo (in glosse) valor -oris, der. di valere: v. valere]. – 1. Riferito a persona indica: a. Possesso di alte doti intellettuali e morali, o alto grado di capacità professionale: un uomo, una donna di v., di gran v. (precisando: nella scienza, nell’arte, nella politica, ecc.); medico, avvocato, pittore, musicista, geografo, uomo politico di v., di alto v.; gente di molto valore Conobbi che ’n quel limbo 32eran sospesi (Dante); enfatico, con senso concr., persona di grandi capacità: è un v., un vero valore! Nella lingua letter. ant., come sinon. di virtù, equivale talvolta a nobiltà d’animo: In sul paese ch’Adice e Po riga, Solea valore e cortesia trovarsi (Dante); o indica particolari meriti: La gentil donna che per suo valore Fu posta da l’altissimo signore Nel ciel de l’umiltate, ov’è Maria (Dante); o particolari capacità: O buono Appollo, a l’ultimo lavoro Fammi del tuo valor sì fatto vaso ... (Dante: qui è la virtù poetica). Nella Divina Commedia, la parola indica inoltre l’onnipotenza di Dio, la somma delle sue virtù: Laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore Da ogne creatura (Purg. XI, 4) o Dio stesso, detto l’etterno valore (Purg. XV, 72; Par. I, 107 e XXIX, 143), lo primo e ineffabile Valore (Par. X, 3). Sempre come sinon. di virtù è riferito da Dante anche all’influenza esercitata dalle stelle: Noi sem levati al settimo splendore [al cielo di Saturno], Che sotto ’l petto del Leone ardente Raggia mo misto giù del suo v. (Par. XXI, 15). b. Coraggio, ardimento dimostrati nell’affrontare i nemici in combattimento e nel sostenere fermamente le dure prove che la guerra comporta, anche con pericolo della propria vita: lottare, combattere, resistere, difendersi con v., con grande v.; le mirabili prove di v. dei nostri soldati; dare prova di eroico v., d’indomito v.; ricompense, decorazioni al v. militare (medaglia d’oro, d’argento, di bronzo e croce al v. militare), e, analogam., al v. di marina, per decorare persone segnalatesi per atti di coraggio e di filantropia in mare, e al v. civile, per il coraggio, l’ardimento, lo sprezzo del pericolo dimostrati in qualità di semplice cittadino, non in guerra, esponendosi a grave pericolo per salvare o portare aiuto ad altri cittadini. c. ant. Forza, capacità fisica e psichica: E così smorto, d’onne [=ogni] valor voto, Vegno a vedervi, credendo guerire (Dante); lei, dolce cadente Sopra di te, col tuo valor sostieni, E al pranzo l’accompagna (Parini); di più far lamento Valor non mi restò (Leopardi); anche, forza di qualche singola facoltà, come la vista: io ti fiammeggio nel caldo d’amore ..., Sì che del viso tuo [= della tua vista, dei tuoi occhi] vinco il v. (Dante). 2. a. Nell’economia politica classica, con riferimento a un bene, si distingue tra il v. d’uso, cioè la capacità del bene di soddisfare un bisogno, e il v. di scambio, la proprietà del bene di acquistare altri beni, cioè il suo «prezzo relativo»; teoria del v., quella che spiega il valore di scambio (o prezzo relativo) dei beni; teoria del v.-lavoro, quella enunciata dagli economisti classici e successivamente sviluppata da K. Marx, per il quale il valore di una merce è la somma del valore dei mezzi di produzione impiegati (capitale costante), del valore della forza lavoro (capitale variabile) e del plusvalore creato nel processo produttivo (v. anche neovalore). Nelle teorie economiche successive, e in partic. nell’economia marginalista, il valore di scambio dei beni viene invece spiegato dal loro stesso valore d’uso (utilità). Nel linguaggio economico contemporaneo il termine valore perde rilevanza presentando spesso sinonimia con le espressioni v. di scambio (cioè v. commerciale, v. di mercato, v. venale), e quindi con ragione di scambio o con prezzo, salvo a mantenere talvolta il primitivo sign. di «valore d’uso» o «di stima»; permane tuttavia con sign. particolare nella locuz. v. aggiunto che, con riferimento a una singola impresa, rappresenta la differenza tra il valore della sua produzione di beni e servizî e il valore dei beni e servizî intermedî provenienti da altre imprese e consumati dalla stessa impresa in un periodo dato: tale differenza può essere calcolata al costo dei fattori o ai prezzi di mercato; nel primo caso il valore aggiunto è calcolato sottraendo i consumi di beni e servizî intermedî dalla produzione valutata ai prezzi sostenuti dal produttore (integrata dagli eventuali contributi correnti versati dall’amministrazione pubblica), mentre nel secondo caso al valore aggiunto al costo dei fattori si aggiungono le imposte indirette e si detraggono i contributi alla produzione e all’esportazione. Nell’uso comune, il duplice sign. del termine è riscontrabile in moltissime espressioni: oggetto di grande v., di scarso v., privo di v.; un regalo, una pelliccia, un lampadario di v.; gioiello, quadro di inestimabile v., di incalcolabile v.; aumentare, crescere, scemare di v. (e anche dare, togliere, crescere v. a una cosa); indica più propr. il prezzo o l’equivalente in denaro, in espressioni come acquistare una partita di libri per il v. complessivo di ventimila euro; v. dichiarato, nei pacchi postali; campione senza v., merce spedita in pacco postale di modeste dimensioni, come campione, e quindi con tariffa ridotta. Per il v. nominale di titoli di credito (in contrapp. al loro v. di mercato), di monete (in contrapp. al v. intrinseco o reale) e di capitali sociali, v. nominale, n. 3 a. In matematica finanziaria, v. attuale di un capitale C disponibile tra n anni, il capitale che, impiegato oggi a un certo tasso, produce tra n anni un montante uguale a C; v. attuale di una rendita, il capitale che produce un rendimento uguale alla rendita. In diritto civile, debito di v., quello che ha per oggetto una prestazione o un bene considerati a prescindere dal loro valore monetario e che si trasforma in debito di valuta (cioè monetizzato) solo nel momento della sua effettiva liquidazione, restando fino a tale momento valutariamente indeterminato in quanto variabile a seconda delle oscillazioni del valore di mercato delle prestazioni o del bene oggetto del debito; in funzione di agg. invar., nella locuz. clausola valore, clausola contrattuale che prevede il debito di valore. b. In diritto tributario, imposta sull’incremento di valore degli immobili (INVIM), imposta ad aliquote progressive, soppressa nel 2001, che colpiva come ingiustificato arricchimento, all’atto del trasferimento di proprietà (alienazione o successione), e al compimento di ogni decennio per le società e gli enti, l’aumento di valore verificatosi per circostanze estranee al proprietario; imposta sul valore aggiunto, v. IVA, che è la sigla correntemente usata anche a livello tecnico. c. Oggetti di valore, o semplicem. valori, al plur., denominazione generica di gioielli e altri oggetti preziosi: la direzione dell’albergo non risponde dei valori non depositati in cassaforte. Nel linguaggio di borsa, valori, tutto ciò che può essere oggetto di negoziazione nelle borse (dette appunto borse valori), e cioè divise estere, azioni, obbligazioni, cartelle fondiarie, titoli di stato. I varî titoli emessi da enti privati e pubblici quotati nelle borse sono detti v. mobiliari, in contrapp. alle proprietà fondiarie. Carte valori, nome sotto il quale rientrano la carta moneta a corso legale e fiduciario emessa dallo stato (biglietti di stato), i titoli di credito dell’istituto di emissione e delle banche autorizzate alla loro emissione (vaglia cambiarî, assegni circolari, ecc.); rientrano tra le carte valori anche i v. bollati), cioè marche da bollo, francobolli, carte bollate e fissati bollati. 3. estens. a. Il pregio che un’opera, spec. d’arte o dell’ingegno, ha indipendentemente dal prezzo che può valere in base a considerazioni varie, sia materiali e concrete (materia di cui l’opera è fatta), sia storiche, tecniche, estetiche, ecc. (antichità, importanza storica o documentaria, rarità, perfezione di fattura e di esecuzione, ecc.), ora oggettive (capacità di soddisfare determinate esigenze), ora soggettive (stima attribuita all’opera da singoli o da gruppi di persone, desiderio di possederla): quadro, statua, ceramica, poema, sinfonia, cimelio di grande v., e precisando: di grande v. estetico, artistico, documentario. b. Importanza che una cosa, materiale o astratta, ha, sia oggettivamente in sé stessa, sia soggettivamente nel giudizio dei singoli: i giovani non possono comprendere interamente il v. della vita; non sai quale v. abbiano per me questi ricordi, queste fotografie; è una scoperta che ha un v. immenso; capisci il v. che avrebbe questa notizia se fosse vera? c. In alcuni casi, come sinon. di validità o efficacia: se il documento non è timbrato non ha nessun v.; se lui si ostina a negare, le tue dichiarazioni non hanno più v. giuridico; soltanto la ricevuta ha v. di prova; disposizioni che hanno v. di legge. d. Com., con alcuni dei sign. che precedono o anche con quelli economici, la locuz. mettere in valore (dal fr. mettre en valeur), valorizzare, cioè rendere fruttifero un bene, un capitale, o rendere utile una cosa, o anche, in senso più astratto, far giustamente apprezzare (è un riconoscimento che mette in v. i suoi meriti). 4. Usi e sign. scient. e tecnici: a. In filosofia il termine non ha un sign. unico e universalmente accolto: è stato inteso come principio o idea di validità universale (i supremi v. dello spirito), o come principio, soprattutto di vita morale, dipendente da una valutazione soggettiva e pratica (tavola dei v.; rovesciamento dei v. o capovolgimento di tutti i v., espressioni di origine nietzschiana); giudizio di valore, in contrapp. al giudizio di realtà (riferito a ciò che avviene o a ciò che è accaduto), quello espresso su ciò che deve essere. In partic., filosofia dei v., corrente della prima metà del ’900 che, reagendo alla negazione materialistica e nietzschiana, riafferma, indipendentemente dalla metafisica, la validità dei principî etici, politici, religiosi, estetici, ecc. Dal punto di vista dei comportamenti sociali, si tende a considerare come valore ogni condizione o stato che l’individuo o più spesso una collettività reputa desiderabile, attribuendogli in genere significato e importanza particolari e assumendolo a criterio di valutazione di azioni e comportamenti: i v. della giustizia, della lealtà, del bene, ecc.; si parla quindi, più genericam., di diversi sistemi di valori (le cui componenti possono essere differenti se non inconciliabili), elaborati e sostenuti da gruppi sociali e culturali nel corso della storia; così, in antropologia culturale e in sociologia, sono detti valori gli elementi costitutivi della struttura sociale sui quali si manifesta l’adesione collettiva di ogni comunità; crisi dei v., l’indebolirsi e il venir meno della fiducia nei modelli etici e comportamentali tradizionali, condizione evocata spesso come criterio interpretativo del disorientamento ideale delle giovani generazioni nella società occidentale contemporanea. b. In genetica, v. adattativo, locuz. che traduce l’ingl. fitness (v.). In biologia, v. biologico delle proteine, espressione con cui viene indicata la qualità nutritiva delle proteine alimentari. c. In aritmetica, v. di una espressione, il numero che si ottiene eseguendo le operazioni indicate nell’espressione. Più in generale, nelle scienze matematiche e fisiche, la determinazione quantitativa assunta da una variabile o da una funzione, ovvero la misura di una grandezza (con segno, ove la grandezza sia suscettibile di valori positivi e negativi) rispetto a una data unità: la formula è valida per qualunque v. delle variabili; risolvendo l’equazione si determina il v. dell’incognita; a differenti altezze la pressione barometrica assume v. diversi; ecc. In partic., v. di soglia, il minimo valore che deve avere un agente per produrre un determinato effetto. In matematica, v. assoluto, il valore che si attribuisce a un numero relativo n prescindendo dal suo segno positivo o negativo, di norma indicato col simbolo |n|. In logica matematica, v. di verità, la qualifica di vero (V) o falso (F) che si applica a una proposizione o a una formula. In statistica, v. modale, v. normale o v. di massima frequenza, sinonimi di moda; v. mediano o v. centrale, sinonimi di mediana; v. medio (correntemente valor medio), sinon. di media nelle varie accezioni; v. medio aspettato, lo stesso che media della distribuzione di probabilità (v. media, n. 1 c). Per il v. nominale di una grandezza, in elettrotecnica, v. nominale (n. 3 b). d. In musica, durata relativa delle note e delle pause corrispondenti. Nella notazione moderna, ogni figura di nota (breve, semibreve, minima, semiminima, croma, semicroma, biscroma, semibiscroma), o la pausa corrispondente, ha un valore doppio della figura o della pausa immediatamente minore. Il valore di una figura, o della pausa corrispondente, può essere accresciuto della sua metà con l’aggiunta di un punto; se vi sono due o tre punti, ciascuno determina un accrescimento di valore della metà del valore del punto precedente; legatura di valore, quella che, posta tra due o più note della stessa altezza, produce una nota di durata unica equivalente alla somma delle durate delle singole note legate. 5. Nelle espressioni con valore di ..., avere valore di ..., esprime in genere equivalenza tra due fatti, rispetto a singole qualità, o rispetto agli effetti, all’importanza, alla funzione: participio con v. di aggettivo; il suo silenzio ha il v. di una rinuncia; per me, le sue parole hanno (o acquistano) il v. di una promessa. 6. Riferito a parole, espressioni, segni, simboli, equivale a «significato»: specificare il v. di un vocabolo, di una locuzione, di un segno; non ho ben capito il v. della sua risposta; ma con riguardo a parole, può indicare anche il tono e il carattere stilistico: in questa frase, l’aggettivo acquista un v. particolare. 7. Nella terminologia della critica d’arte, si chiamano genericamente valori gli elementi del linguaggio figurativo, i caratteri costitutivi dello stile. Il termine, per acquistare un significato specifico, deve essere accompagnato da un agg.: v. decorativi, illustrativi, di movimento, ecc.; così, per es., si dice che Giotto ha realizzato nella sua pittura v. spaziali (v. spazialità); che nella pittura di Simone Martini o nella scultura di Agostino di Duccio predominano v. linearistici (v. linearismo), mentre nella pittura veneziana del Cinquecento predominano i v. tonali (v. tonale); che lo stile del Tintoretto, di Caravaggio, di Rembrandt si fonda su v. luministici (v. luminismo). In partic., si parla di v. plastici non soltanto in scultura o in architettura, ma anche in una pittura in quanto ottenga effetti di rilievo, e analogam. di v. pittorici in una scultura o in un’architettura in quanto affidino la loro validità artistica a effetti che sono peculiari della pittura, come l’effetto cromatico risultante dal rapporto della luce con l’ombra, e della superficie con l’atmosfera.