vanita
vanità s. f. [dal lat. vanĭtas -atis, der. di vanus «vano, vuoto»]. – 1. a. letter. Il fatto, la condizione di essere senza corpo, privo di consistenza materiale: Noi passavam su per l’ombre che adona La greve pioggia, e ponavam le piante Sovra lor vanità che par persona (Dante). b. L’essere inefficace, inutile, senza effetto: la v. delle sue minacce, delle sue promesse, delle nostre fatiche; il gonfaloniere, pentitosi della v. del suo consiglio,... si lasciava portare dalla volontà degli altri (Guicciardini). c. La condizione propria delle cose umane, in quanto sono caduche, effimere, e il loro valore è soltanto apparente: la v. dei beni temporali, delle glorie umane; nel mondo, tutto è v. (v. anche vanitas vanitatum, et omnia vanitas); in senso più ampio: l’infinita v. del tutto (Leopardi). Con valore concr., bene vano, cosa priva di reale valore; spec. al plur.: dire addio alle v. del mondo; rinunciare alle v. del secolo; Ahi anime ingannate e fatture empie, Che da sì fatto ben torcete i cuori, Drizzando in vanità le vostre tempie! (Dante); la fiera delle v., espressione che ricalca l’ingl. vanity fair (nota soprattutto come titolo del romanzo di W. M. Thackeray, Vanity Fair, 1848) per indicare un ambiente di frivolezza e di dispersione. 2. Riferito a persona, leggerezza di carattere, che porta a trattare le cose serie con frivolezza e le cose frivole con più serietà che non meritino; vuotezza interiore; ostentazione di un’alta opinione di sé stessi, dei proprî meriti, delle proprie doti fisiche: un piccolo peccato di v. (femminile); la v. di certi intellettuali, o letterati; una ragazza piena di v.; tutto questo lo fa per v.; soddisfare, lusingare, sollecitare la v. (propria o altrui). Con sign. più ristretto: sono tutte v.; perdonami, ho questa v.; determinando: ha la v. di credersi bella, di voler sembrare giovane, ecc.