variante1
variante1 s. f. [part. pres. di variare, sostantivato al femm.]. – 1. Modificazione rispetto a un esemplare o tipo che si considera fondamentale; ciascuna delle diverse forme, dei diversi aspetti con cui una cosa si può presentare rimanendo sostanzialmente identica: lo stesso modello d’abito viene presentato in più varianti; i due acrobati hanno ripetuto l’esercizio con alcune v.; e di opera d’arte figurativa (pittura, scultura, architettura) di cui l’autore stesso, o un suo allievo, abbia fatto più di un esemplare: replica, riproduzione con alcune v.; le repliche caravaggesche con varianti (di forma, colore, di particolari decorativi, ecc.). Anche, modificazione apportata a un itinerario prefissato, a una gara sportiva tradizionale, al diario stabilito per una serie di competizioni, ecc.: introdurre una v. nel percorso. In partic.: a. Nello sport automobilistico, interruzione di un tratto rettilineo del circuito di gara costituita da due curve ravvicinate, la prima in una direzione, la seconda nella direzione opposta (così da riportare il percorso nella direzione iniziale), inserita al fine di rallentare la velocità delle auto che altrimenti potrebbe raggiungere valori pericolosi. b. Nell’alpinismo, percorso diverso seguito per un certo tratto nel ripetere in parete una via tracciata nel corso di una precedente scalata. c. Nel gioco degli scacchi, serie di mosse connesse tra loro in base a un piano unitario: calcolare tutte le v., prevedere lo sviluppo delle mosse di risposta dell’avversario; v. forzata, quando un giocatore non può evitare un seguito di mosse forzate; v. di patta, che comporta un risultato di parità. Come continuazione estesamente analizzata delle mosse di apertura: le v. principali del gambetto di re; varianti di cambio, di blocco. 2. Con sign. specifici: a. In linguistica, ciascuno dei diversi aspetti con cui si può presentare un medesimo vocabolo, quando in esso vi siano uno o più elementi modificabili; il rapporto tra i varî aspetti può essere di natura varia, sicché, assunta per convenzione una delle forme come fondamentale, l’altra può essere considerata sullo stesso piano e la scelta fra l’una e l’altra è determinata da ragioni e preferenze personali (per es. psicanalisi o psicoanalisi), oppure su un piano diverso, potendosi classificare una variante come antiquata (per es. ale per ali, stromento per strumento), regionale (per es. piagnere per piangere), poetica (carco per carico), meno comune, meno corretta, ecc.; si parla di v. grafica quando la differenza tra le due forme è limitata alla grafia (per es., climax e klimax, armonium e harmonium). In partic., nelle dottrine linguistiche più recenti (fonematiche e strutturalistiche), la diversa forma che, pur conservando la propria individualità funzionale, può assumere un elemento del sistema (fonema, grafema, morfema, e anche sintagma e lessema), sia per la sua posizione nel contesto (v. di posizione o contestuali o condizionate o combinatorie), sia per la particolare realizzazione personale di chi parla o scrive (v. individuali o facoltative). Si distinguono v. fonematiche (o allofoni), realizzazioni diverse che un fonema può avere nella catena parlata (per es., il fonema n finale di non è bilabiale in non posso, e velare in non chiedo); v. grafemiche (o allografi), costituite dai diversi modi con cui uno stesso fonema è rappresentato nella scrittura (per es., il fonema k viene indicato con c in cane, con ch in chiodo, con q in quadro; in greco, il sigma viene scritto σ all’inizio e nell’interno di parola, ς in fine di parola); v. morfologiche (o allomorfi), costituite dalle modificazioni che un morfema, o più genericam. un elemento lessicale, può presentare in relazione alla sua posizione nel discorso o per scelte stilistiche (così l’articolo la che compare come l’ in l’arte, o i e gli che sono condizionati dal fonema iniziale della parola seguente: i remi, ma gli scalmi; o ancora scritto che acquista una i prostetica, facoltativa, nella frase mettere in iscritto o per iscritto). b. Forma diversa con cui si tramanda un proverbio, un detto proverbiale, un canto popolare, ecc.; per es., le diverse varianti con cui si presenta la filastrocca popolare relativa alla Candelora, ecc. c. In filologia, sono dette varianti le diverse lezioni che si offrono alla scelta dell’editore per costituire il testo critico, riscontrabili nei manoscritti e nelle stampe che, nel loro insieme, formano la tradizione del testo (variante è ciascuna di queste lezioni rispetto a una lezione di riferimento): v. grafiche, v. d’amanuense; scegliere, eliminare una variante. Una classe speciale sono le v. d’autore, introdotte dall’autore stesso nel suo testo in seguito a ripensamenti o rielaborazioni, durante la stesura dell’opera o in redazioni successive: le v. del Petrarca al «Canzoniere»; le v. leopardiane ai «Canti». d. In microbiologia, sono dette varianti le colonie e cellule batteriche che assumono caratteristiche morfologiche diverse da quelle consuete. e. Nel campo delle costruzioni, soluzione diversa da quella originale per un’opera architettonica, sia allo stato di progetto, sia già costruita. Questo secondo caso è caratteristico delle costruzioni stradali: la variante è un tratto di strada, aperto in un secondo tempo, allo scopo di consentire migliori condizioni di transitabilità in un particolare tratto di una strada preesistente. f. In urbanistica, v. al piano regolatore, modificazione settoriale apportata, a seguito dell’insorgere di nuove esigenze, al piano regolatore generale o particolareggiato di un centro urbano; varianti in corso d’opera, modifiche parziali apportate a un progetto edilizio in fase di attuazione.