vedovo
védovo agg. e s. m. [lat. vĭduus, tratto dal femm. vidua: v. vedova]. – 1. Uomo a cui è morta la moglie: restare vedovo; è vedovo da due anni; ha un cugino v.; ha sposato un v. con due figli. Per il femm., che indica una condizione sociale e giuridica particolare, v. vedova. 2. agg., fig. a. letter. o poet. Privo o privato di persona o di cosa necessaria, la cui mancanza costituisce perciò un danno o è motivo di dolore: rimasa Firenze v. d’uno tanto cittadino e tanto universalmente amato, era ciascuno sbigottito (Machiavelli, con riferimento a Cosimo de’ Medici, bandito da Firenze); per tal vicino Vedova resterebbe or la mia terra Di tanti cittadini (Caro); D’ogni dolcezza vedovo ... Ma placido il mio stato (Leopardi). E con accezione più vicina all’uso proprio della parola, ma riferito per metonimia a cose: O mia fuggita etate, Quante v. notti, Quanti dì solitari Ho consumati indarno (T. Tasso), notti solitarie, senza la persona amata accanto; or già non scalda e cova Più le v. piume (Ariosto), il letto di Olimpia rimasto vuoto per la fuga dell’infedele Bireno. b. Con sign. specifico in tipografia, e analogam. nella composizione e impaginazione elettronica, riga v. (calco dell’ingl. widow line), sinon. di righino, cioè linea tipografica incompleta che si trova alla fine di un periodo cui segue un capoverso; anche, pagina, colonna v., quelle la cui prima riga ha giustezza incompleta. Nell’uno e nell’altro caso, anche ellitticamente vedova, nella locuz. controllo automatico delle vedove (o, con uso scherz., protezione delle vedove), la funzione automatica che, nei sistemi di videoscrittura e di impaginazione elettronica, segnala e corregge, intervenendo sulla spaziatura, gli eventuali righini del testo. ◆ Dim. vedovèllo, vedovino, vedovétto; pegg. vedovàccio (tutti meno com. dei corrispondenti femm., e usati per lo più in tono scherz.).