vendetta
vendétta s. f. [lat. vindĭcta «rivendicazione; liberazione; vendetta; castigo», der. di vindicare: v. vendicare]. – 1. a. Danno materiale o morale, di varia gravità fino allo spargimento di sangue, che viene inflitto privatamente ad altri in soddisfazione di offesa ricevuta, di danno patito o per sfogare vecchi rancori: la v. privata nell’antico diritto germanico (v. faida); giurare vendetta; premeditare, macchinare, preparare la v.; propositi, sentimenti, brama di v.; covare nel cuore la v.; provare una selvaggia voluttà di v.; pregustare la gioia della v.; verrà il giorno della v.; compiere la v., una v.; mi sono preso la mia v.; fu ucciso per v.; si suppone che il movente del delitto sia da ricercarsi nella v.; aspra, crudele, sanguinosa, tremenda v.; nel linguaggio giornalistico, v. trasversale, indiretta, che ha come oggetto familiari o amici della persona che si vuole colpire (caratteristica delle faide e delle lotte tra diverse organizzazioni criminali); la migliore v. è il perdono, sentenza di carità cristiana. Comune soprattutto la locuz. fare vendetta di ..., vendicare: far vendetta di un torto patito, di un affronto subìto; chi passa, prometta Dell’ingiusta mia morte far vendetta (Berni); seguito da nome di persona, o da agg. possessivo, vendicare la persona, e in partic. vendicarne la morte: E giurò far del suo fratel v. (Pulci); farò io la tua v.; anche al plur.: un guerrier ch’in tal travaglio il mette, Che spero ch’abbia a far le mie v. (Ariosto); con senso attenuato, far vendetta, rendere il contraccambio, fare ad altri ciò che essi ci hanno fatto: Far potess’io vendetta di colei Che guardando e parlando mi distrugge (Petrarca); nell’uso letter., prendere vendetta di ..., vendicare: alcun sorga De l’ossa mie che di mia morte prenda Alta v. (Caro). Ricevere vendetta, essere vendicato, ricevere soddisfazione, con soggetto di persona o di cosa: l’offeso, l’ucciso ecc., riceverà v.; consegnare, abbandonare, esporre alla v. o alle v., consegnare nelle mani o far correre pericolo di cadere nelle mani, di chi vuole vendicarsi: patrioti consegnati alla v. della polizia; esporre, e rifl. esporsi, alle v. dei nemici. b. In etnologia, v. del sangue, forma di vendetta che può colpire sia l’uccisore sia qualsiasi membro del suo gruppo familiare, secondo leggi e usi particolari, generalmente con esclusione delle donne, dei bambini, dei vecchi. In molti casi è sostituita da un risarcimento alla famiglia dell’ucciso, talora accompagnato da un sacrificio animale, o da un matrimonio tra un uomo del gruppo dell’uccisore e una donna di quello dell’ucciso. 2. a. Castigo, punizione, e spec. la punizione divina: la giusta v. di Dio; il dì della v., il giorno della v., nel linguaggio eccles., il giorno del giudizio universale; mia è la v., dice il Signore, frase biblica; in partic. gridare v., di gravi misfatti e scelleratezze che, per la loro stessa malvagità, esigono la giusta punizione del cielo: delitto, tradimento, perfidia che grida v. (scherz., anche di cose o di lavori fatti male: uno spettacolo, un’interpretazione, un’esecuzione musicale, o un arrosto bruciacchiato, che grida v.); l’espressione appartiene in origine al linguaggio della Chiesa la quale definisce l’omicidio volontario, il peccato impuro contro natura, l’oppressione dei poveri, il defraudare la mercede agli operai, «i quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio». b. poet. Persecuzione: a noi Morte apparecchi riposato albergo Ove una volta la fortuna cessi Dalle v. (Foscolo).