venticinque
venticìnque agg. num. card. [comp. di vénti e cinque], invar. – Numero composto di due decine e cinque unità (in cifre arabe 25, in numeri romani XXV): si è laureato in medicina a v. anni; costerà circa v. euro; sostantivato: puntare sul v., sul numero 25; Tribunale dei v. (savî), magistratura della Repubblica Veneta con giurisdizione su cause civili. Con valore indeterminato, per indicare numero non grande, quantità modesta, uso largamente documentato negli autori: ordinarono una brigata forse di v. uomini (Boccaccio); signor mio, quando non vi sia grave, io vi direi volentieri in segreto v. parole (Bandello); e l’esempio più noto: Pensino ora i miei v. lettori che impressione dovesse fare sull’animo del poveretto, quello che s’è raccontato (Manzoni), per cui l’espressione i miei v. lettori è ancora usata per alludere, con vera o falsa modestia, al limitato numero di lettori di un proprio scritto.