ventitre
ventitré agg. num. card. [comp. di vénti e tre]. – Numero composto di due decine e tre unità (in cifre arabe 23, in numeri romani XXIII): si è laureato a v. anni; il giorno v., e come s. m. il v. del mese; l’aereo è decollato alle ore v., o assol. alle v., alle ore 11 di sera; il numero v., o come s. m. il v., numero che nella cabala e nelle credenze popolari è ritenuto fausto, portatore di fortuna (e quindi, nell’uso fam., è spesso sinon. eufem. di culo: hai un bel v., vinci sempre!). Nel passato, quando le ore si contavano da un’avemmaria all’altra, le v. erano l’ora avanti l’avemmaria (v. ventiquattro): il buon uomo ..., tornando, verso le v., col suo baroccio, a Pescarenico, s’abbatté, prima d’arrivare a casa, in un amico fidato (Manzoni). Di qui l’espressione scherz., ormai ant., essere alle v. e tre quarti, essere prossimo alla fine; ancora in uso invece la frase tenere o portare il cappello sulle v. (ant. o tosc. anche sulle v. e tre quarti, sulle ventiquattro), inclinato da una parte, con allusione al sole che, a quell’ora, declinava. ◆ L’ordinale corrispondente è ventitreèṡimo, meno com. ventèsimo (o vigèsimo) tèrzo.