verita
verità s. f. [lat. vērĭtas -atis, der. di verus «vero»]. – 1. Carattere di ciò che è vero, conformità o coerenza a principî dati o a una realtà obiettiva: dubitare della v. di una notizia; non credere alla v. delle parole di qualcuno; provare, negare la v. d’una testimonianza; controllare la v. di un’asserzione; ristabilire la v. dei fatti. Con funzione attributiva, cinema-verità, quello che riprende vicende reali, quotidiane, senza intervento di attori o realizzazioni di scenografie e sim. 2. Ciò che è vero (contrapp. a falsità, bugia, menzogna, errore). In partic.: a. Relativamente a determinati fatti: sapere, conoscere, ignorare, cercare, scoprire, appurare la v.; dire, rivelare, tacere, nascondere la v. (cioè il reale modo di essere di qualche cosa); negare la v.; alterare, travisare, deformare la v.; ammettere, riconoscere la v.; Che i più tirano i meno è v. (Giusti); ciò che dico è tutta v. (e con più enfasi: è la pura, è la schietta v.); questa è v., è v. santa, è v. sacrosanta; argomentazione, asserzione che non ha fondamento di v.; giuro di dire la v., tutta la v. e nient’altro che la v. (formula di giuramento dei testimoni in giudizio); siero della v. (v. siero). Come inciso, invitando a parlare senza riguardi: di’ la v., non ho ragione io?; o per attenuare un’affermazione, un giudizio, o introdurre una correzione a quanto altri dice: io, a dire la v., non ne sapevo nulla; per dire la v. (o la schietta, la sincera v.), io la penso diversamente. La frase dire la v. è talora riferita, nell’uso fam., a cose: un orologio che dice la v., esatto; a me le carte dicono sempre la v., danno un responso veridico. b. Affermazione o conoscenza rispondente a un concetto superiore e ideale del vero: v. recondite, nascoste; v. ovvie, comuni; è una v. assoluta, una v. indiscutibile, incontestabile; una v. evidente, lampante, lapalissiana; sentenza che contiene una profonda v.; le v. fondamentali della fede (e con riferimento a queste: diffondere la v.; Dio è la fonte e il fondamento di ogni v.); v. rivelate, quelle che, inconoscibili con la sola ragione, la divinità stessa, direttamente o per interposta persona, ha manifestato agli uomini: v. rivelazione. c. Ciò che è vero in senso assoluto (con questo sign., soltanto al sing.): la ricerca della v., soprattutto come oggetto e scopo della filosofia e della scienza; l’amore per la v.; Io sono la via, la v. e la vita, parole di Gesù Cristo, secondo il Vangelo di Giovanni, 14, 6 (Ego sum via, et veritas, et vita); la v. innanzi tutto!, la v. si fa strada da sé, la v. viene sempre a galla, frasi proverbiali; è la voce della v., è la bocca della v., di persona assolutamente sincera; parlare con accento di v., dando l’impressione di essere sincero. d. In verità (meno com. per verità), locuz. avv. con funzione ora attenuativa ora rafforzativa (equivale a «veramente, davvero»): in v., io sono estraneo alla faccenda; in v., ti meriteresti una buona lezione; nel Vangelo, spesso ripetuto (come traduz. del lat. amen, amen), in v., in v. vi dico, e sim., formula iniziale di solenni affermazioni di Gesù. 3. Usi e sign. specifici: a. Nella storia della filosofia, diverse sono state le definizioni del concetto di v. e del criterio per stabilire ciò che è verità; di volta in volta, la verità è concepita: come corrispondenza o conformità a una realtà extramentale; come rivelazione nell’esperienza sensibile (o nell’intuizione) o come manifestazione da parte di un essere superiore all’uomo; come conformità a una regola o a un concetto immanente o trascendente il singolo; come utilità, in rapporto cioè alla conservazione o alla felicità dell’uomo. Sono dette v. di ragione quelle il cui contrario è necessariamente falso; v. di fatto quelle non necessarie e contingenti. Nella storia della filosofia medievale è stata chiamata doppia v. (con espressione approssimativa e spesso fuorviante) la dottrina sostenuta da molti maestri delle Facoltà delle arti, in partic. dagli averroisti, secondo la quale una verità dimostrata razionalmente (in forza dei principî della filosofia di Aristotele ritenuta l’espressione della ragione) può essere diversa da una verità creduta per fede (non oggetto quindi di dimostrazione razionale): tale posizione ha reso storicamente possibile, dal sec. 13° fino a tutto il Rinascimento, la contemporanea accettazione delle teorie di Aristotele e delle verità rivelate. b. In matematica e in logica matematica, il concetto di verità ha assunto storicamente sign. diversi: in un primo tempo, in una visione più ingenua della matematica, la nozione di verità veniva applicata alle situazioni che sembravano oggettivamente corrette, o perché evidenti o perché dimostrabili; quando poi è stata messa in crisi l’idea di enti matematici oggettivi (per es., accettando la possibilità di più geometrie), la corrente formalista ha inteso verità come sinon. di dimostrabilità; infine, nell’accezione logica più moderna, il concetto di verità fa riferimento a una struttura o a un modello di una teoria (v. vero, nel sign. 1 n). Per le espressioni funzione di v., tavole (o tabelle) di v., valore di v. si vedano rispettivam. funzione, tavola, valore.