vietare
v. tr. [lat. vĕtare] (io vièto, ecc.). – Proibire, impedire ad altri di fare qualcosa; ordinare, disporre che non si compia una determinata azione, o che non si svolga una particolare attività. È normalmente costruito con l’accus. della cosa e il dativo della persona – se espressa – alla quale si vieta: domandò qual fosse la cagione per che la venuta gli avea il dì davanti vietata (Boccaccio); avevano l’ordine di v. il passaggio a chiunque; spesso con di e l’infinito: gli vietò di rispondere; il medico gli ha vietato di uscire; nessuno può vietarmi di tornare a casa; raram. con che e il cong., quasi soltanto dopo l’espressione nulla vieta, con la quale si indica che non v’è impedimento alcuno al compiersi di una data azione: nulla vieta che io gli scriva oggi stesso, è cosa che si può fare. Nell’uso letter., vietare un luogo ad alcuno, impedirgli di entrare: avversi ... I venti sempre, la natal mia terra Parean vietarmi (Alfieri). ◆ Part. pass. vietato, assai frequente in funzione di pred. nominale: è vietato l’ingresso ai suonatori ambulanti; è vietato fumare (o, meno com., di fumare); è vietato sporgersi, cogliere i fiori, ecc.; anche con uso assol., con valore di agg.: colpo vietato, nel pugilato, nella lotta, nella scherma (più com. colpo proibito); sosta vietata (v. sosta); come agg. può avere talvolta il superlativo: è cosa vietatissima. È di uso letter., sempre come agg., con il sign. di difeso, soprattutto in frasi negative, riferito a valico il cui passaggio è o dovrebbe essere impedito al nemico: le mal vietate Alpi e l’alterna Onnipotenza delle umane sorti (Foscolo); Pianta le insegne italiche Di Roma tua su i mal vietati spaldi (Carducci).