vilta
viltà (ant. viltade e viltate) s. f. [lat. vilĭtas -atis «scarso valore», riferito a cose, der. di vilis «vile, di poco prezzo»]. – 1. ant. o letter. a. Il fatto, la condizione e la caratteristica di avere scarso valore e pregio: è da sapere che la viltade di ciascuna cosa da la imperfezione di quella si prende (Dante); v. di un metallo; v. di un prezzo, dei prezzi, livello eccessivamente basso. b. Umiltà di origine e di condizione sociale: v. di nascita. c. Bassezza d’animo: Gulfardo, udendo la ’ngordigia di costei, isdegnato per la viltà di lei la quale egli credeva che fosse una valente donna, quasi in odio transmutò il fervente amore (Boccaccio); la comune viltà dei pensieri e l’ignavia dei costumi (Leopardi). 2. a. Riferito a persona, l’essere vile, il mancare di coraggio e fermezza: la v. di quell’uomo mi disgusta; in quella occasione mostrò tutta la sua v.; accusare, rimproverare uno di v.; il suicidio è spesso un atto di v.; v. d’animo; conobbi l’ombra di colui Che fece per viltade il gran rifiuto (Dante). Con sign. concreto, atto, comportamento vile, azione da persona vile: abbandonarlo in queste condizioni sarebbe una v.; commettere una viltà.