violenza /vjo'lɛntsa/ s. f. [dal lat. violentia]. - 1. a. [con riferimento a persona, l'essere violento] ≈ aggressività, brutalità, non violenza, prepotenza. ↔ bonarietà, mansuetudine, mitezza, pacatezza, placidità. ↑ inoffensività. b. [con riferimento a cosa, l'essere fatto, detto in modo violento e aggressivo: la v. di un'arringa] ≈ aggressività, animosità, impetuosità, irruenza, rabbiosità, veemenza, virulenza. ‖ asprezza, durezza. ↔ pacatezza, serenità. ‖ bonarietà. 2. (estens.) a. [con riferimento a evento naturale, il manifestarsi con intensità eccezionale: la v. di una bufera] ≈ furia, furore, impeto, rabbia, (lett.) rapina, veemenza. ↓ forza. ↔ debolezza. b. [con riferimento ad alcuni microrganismi, capacità di provocare nell'ospite manifestazioni patologiche più o meno rilevanti] ≈ e ↔ [→ VIRULENZA (1)]. c. [con riferimento a un sentimento e sim., l'essere particolarmente intenso: la v. degli istinti] ≈ (lett.) empito, furia, impeto. ↓ forza. ↔ debolezza. 3. [atto o comportamento che faccia uso della forza fisica o dell'autorità per recare danno ad altri, spec. al plur.: subire continue v.] ≈ angheria, prepotenza, prevaricazione, (tosc.) riffa, soperchieria, sopraffazione, sopruso, vessazione. ● Espressioni: fare (o usare) violenza (a qualcuno) → □; violenza carnale (o sessuale) → □. □ fare (o usare) violenza (a qualcuno) [costringere con la violenza una persona, spec. una donna, a rapporti sessuali] ≈ [→ VIOLENTARE (2)]. □ violenza carnale (o sessuale) ≈ stupro, (non com.) violentamento. [⍈ IRA]
violenza. Finestra di approfondimento
Tipi di violenza - Come già osservato nella scheda UCCIDERE, il lessico italiano possiede numerosi termini per indicare diversi tipi di violenza, fisica, verbale e morale. Il generico v. è adatto soprattutto all’uso della forza fisica, anche se non mancano impieghi estens. o fig. (come si può vedere sotto il lemma violenza). V. per antonomasia è spesso quella sessuale, anche detta stupro: chi ti ha usato violenza? Un grado intens. di violenza è rappresentato dalla brutalità, per lo più fisica, ma anche dei modi e delle parole: evocava gioconde imagini di sensualità, con una mordace brutalità di linguaggio da vecchio vizioso (G. C. Chelli). Spesso la violenza viene identificata con un grado intenso di cattiveria, e dunque sost. quali barbarie, ferocia, malvagità possono indicare anche una violenza (non solo fisica) particolarm. accanita: e da ogni parte sangue, vendette, rapine e barbarie spietate (G. Verga); la ferocia di quel soldato, accanita sul corpo d’un bambino innocente, gli pareva l’espressione più precisa del tempo (L. Pirandello); ad ogni momento ella doveva soffrire i motti inverecondi, le risa crudeli, i gesti ambigui, la malvagità delle ciurme inasprite dalla fatiche della navigazione (G. D’Annunzio).
Cose e persone violente - I sost. sopra elencati sono quasi sempre riferiti a persone, mentre quelli che seguono possono essere riferiti tanto a persone quanto a cose, parole, sentimenti, agenti atmosferici, ecc., che manifestino particolare intensità. La forza e la rabbia vengono di frequente identificate con la violenza delle persone o con l’intensità delle cose (si ricordi che l’etimo di violenza è da ricondurre al lat. vis «forza», mentre quello di rabbia risale a una radice indoeur. col sign. di «violenza»). Forza indica di solito un grado più attenuato: scuotere con forza; l’incredibile forza della sua passione. Rabbia sottolinea invece certo accanimento nelle cose, oppure un forte senso di irritazione nelle persone: allora Pinocchio, perduta la pazienza, afferrò con rabbia il battente della porta per bussare un colpo da far rintronare tutto il casamento (C. Collodi); mi colpì la rabbia delle sue parole. Di grado più intens. sono furia e furore, che designano una violenza quasi da pazzi: mi assaltò con una furia da disperato (C. Goldoni); è il continuo furore delle battaglie che gli ha ridotto le guance e la capigliatura a quel modo (I. Nievo). Più formali e meno intens. di furia e furore sono invece impeto (o impetuosità) e veemenza, che indicano una forza o un ardore incontrollabili, una difficoltà a reprimere gli atteggiamenti violenti: gli austriaci, rimasti soli, non poterono sostener l’impeto nemico (V. Cuoco); di fuori il temporale infuriava con veemenza (G. Verga). Analoga all’impeto è l’irruenza, termine con cui si intende sia l’irrompere con forza, sia l’essere impulsivo, impetuoso, passionale e sim.: vide la donna disperata camminare nella zona di sole che invase la Basilica con l’irruenza d’un torrente per la porta aperta da una mano ignota (G. D’Annunzio). Termine più formale, o impiegato in lessici specifici, è virulenza, col quale si intende l’essere particolarm. aggressivo, oppure, in riferimento ad alcuni microrganismi, la capacità di provocare manifestazioni patologiche più o meno rilevanti: egli, per la virulenza delle sue filippiche e per l’audacia con cui difendeva il Cappellano, era diventato quasi il caporione del subbuglio (I. Nievo); la virulenza di un batterio.
Gradi attenuati di violenza - Prevalentemente riferiti a esseri umani sono invece aggressività, prepotenza, arroganza, prevaricazione e sopraffazione, con diverse sfumature semantiche. L’aggressività designa l’atteggiamento di chi tende ad aggredire, a prevaricare, a voler sempre avere ragione, ad alzare la voce e sim. È di solito una forma di violenza verbale: tutti in casa di Giovanni la sopportavano temendo la sua aggressività (I. Svevo). A un livello più intens. sono la prevaricazione e ancor più la sopraffazione, termini formali anch’essi spesso riferiti alle parole, ma anche agli atteggiamenti e a i vari strumenti (anche fisici) adottati per abusare del proprio potere a danno degli altri: se le leggi sono fatte pel popolo, i giudizi sono fatti per i potenti, i quali, col possesso, coi cavilli e talora con la prevaricazione, riacquistano coi giudizi tutto ciò che il popolo avea guadagnato colle leggi (V. Cuoco); la certezza che questi altri avevano fin da ieri della mia morte era su me come una insopportabile sopraffazione (L. Pirandello). Analoga alla prevaricazione, ma di valore meno intens. e più generale, è la prepotenza, con cui si indica l’atteggiamento di chi tratta gli altri in malo modo e vuole sempre averla vinta: sembra che nel presente sistema criminale, secondo l’opinione degli uomini, prevalga l’idea della forza e della prepotenza a quella della giustizia (C. Beccaria). L’arroganza, infine, si colloca al livello più attenuato. Affine alla prepotenza e all’aggressività, è di queste più generica, e può talora designare anche l’atteggiamento del supponente, di chi ostenta potere o conoscenze, di chi si vanta o manca di rispetto a qualcuno: non trattarmi con questa arroganza!
Astratto e concreto - Da notare, infine, che molti sost. qui commentati (come risulta nelle accezioni delle singole voci) hanno un duplice valore, alludendo sia al sentimento o atteggiamento dell’essere violenti, sia agli effetti di tale atteggiamento (in quest’ultimo caso, il sost. è spesso al plur., mentre nel primo è, ovviamente, quasi solo al sing.): i soldati si macchiarono di orribili violenze contro gli abitanti del villaggio; mi vendicherò delle tue continue brutalità; che cosa sono queste prepotenze? (C. Goldoni).