visibilita
viṡibilità s. f. [dal lat. tardo visibilĭtas-atis]. – 1. a. Il fatto, la caratteristica di essere visibile; la condizione in cui si trova un oggetto che può essere percepito dall’occhio: la v. di una stella;: la v. di un’insegna, di un cartello indicatore; con sign. attivo, la possibilità di percepire e distinguere, più o meno chiaramente, gli oggetti, sia nell’ambiente circostante sia attraverso un mezzo trasparente o diafano; nell’uno e nell’altro caso, la visibilità è per lo più limitata dal potere visivo dell’occhio, dalle condizioni di illuminazione dell’ambiente, dall’esistenza di ostacoli, dalle condizioni atmosferiche (presenza o meno di particelle liquide o solide sospese nell’aria, diffusioni e diffrazioni della luce dovute a mescolanza di strati d’aria di diversa densità, ecc.): buone, cattive condizioni di v.; c’è poca luce in questa stanza, e la v. è scarsa; v. atmosferica; per la foschia c’era poca v.; sull’autostrada, per la nebbia, la v. è limitata a una decina di metri; vettura dotata di un’ampia v. anteriore, posteriore e laterale (attraverso, rispettivam., il parabrezza, il lunotto e i finestrini). In meteorologia, v. diurna, la massima distanza orizzontale alla quale un oggetto non luminoso è visibile e riconoscibile rispetto allo sfondo (la stessa definizione vale per v. notturna, con riferimento a un oggetto luminoso); coefficiente di v., per una radiazione monocromatica, il rapporto tra il flusso luminoso, ossia la quantità di luce (riferita a una sorgente convenzionale) irraggiata da una sorgente nell’unità di tempo, e il corrispondente flusso di energia; fattore di v., sempre per una radiazione monocromatica, il rapporto tra il suo coefficiente di visibilità e il valore massimo che tale coefficiente può assumere nello spettro visibile. Angolo di v., l’angolo solido entro cui sono gli oggetti visibili a un osservatore, in una sua determinata posizione; distanza (o limite) di v., quella al di là della quale un oggetto cessa di essere visibile (rilevante per la progettazione di strade e per la regolazione del traffico). b. Con uso fig, l’acquisto, da parte di enunciati teorici in genere e in particolare politici, della possibilità di essere riferiti a situazioni concrete e sottoposti a verifica sul terreno pratico, per essere passati attraverso una fase di definizione più precisa e di più dettagliate analisi: idee che hanno assunto visibilità; nell’ambito commerciale e della comunicazione, la presenza più o meno rilevante, e quantificabile con indici statistici, del nome e dell’immagine di un’azienda sui canali pubblicitarî, sulla stampa e in partic. sul web: v. di un sito sui motori di ricerca. 2. Proprietà delle radiazioni elettromagnetiche, appunto dette radiazioni visibili (costituenti lo spettro visibile o, come suol dirsi, il campo del visibile), di eccitare la facoltà visiva dell’occhio; curva di v., il diagramma della sensibilità dell’occhio in funzione della lunghezza d’onda nel campo delle radiazioni visibili (400-800 nm), che per il cosiddetto occhio normale è stata fissata per convenzione internazionale (la massima sensibilità si ha nella zona del giallo). 3. Nelle arti figurative, teoria della pura v., teoria, elaborata negli ultimi decennî dell’Ottocento dal tedesco Konrad Fiedler (1841-1895), e accolta da B. Croce (Teoria dell’arte come pura visibilità, del 1911), secondo la quale l’arte figurativa è indipendente da ogni dato naturale preesistente, in quanto produttrice di forme che hanno in sé stesse la loro ragione di essere e che rispetto al mondo esterno hanno piuttosto una funzione conoscitiva che imitativa.