visione
viṡióne s. f. [dal lat. visio -onis, der. di videre «vedere», part. pass. visus]. – 1. a. Il processo di percezione degli stimoli luminosi, la funzione e la capacità di vedere: v. vicina, lontana, chiara, distinta; v. diretta, indiretta; v. binoculare, quella dell’uomo e dei vertebrati superiori in cui si ha l’uso coordinato, sensoriale e motorio, dei due occhi, così da ottenere un’impressione mentale unica; v. crepuscolare o scotopica, quella che permette di vedere in condizioni di scarsa luminosità e nella notte, assicurata dai bastoncelli della retina e, in piccola parte, dai coni; v. diurna o fotopica, quella che si ha nelle ore di piena luminosità, assicurata esclusivam. dai coni, che consente, oltre alla percezione nitida degli oggetti, anche quella dei colori. In partic., in medicina, v. nera e v. rossa, dovute, in soggetti che compiono acrobazie aeree con rilevanti sopportazioni, a un afflusso di sangue temporaneamente scarso, e rispettivamente eccessivo, al cervello (v. sopportazione). b. L’azione, il fatto di vedere una cosa per esaminarla, trarne notizie utili, ecc.: mandare in v. un libro, una rivista, e ricevere un campione, un esemplare in v., in esame; prendere, dare v. di un atto, di un documento, e firmare, siglare per presa v. una circolare, ecc., nel liguaggio burocr.; con riferimento a spettacoli cinematografici, film in prima, in seconda v., che viene presentato al pubblico, o trasmesso ai telespettatori, per la prima, per la seconda volta (per estens. cinema di prima v., nel quale si proiettano solo film in prima visione); v. privata, v. riservata ai critici o alla stampa; v. preventiva, quella che ha luogo prima che il film venga programmato per il normale pubblico nelle sale di spettacolo; v. contemporanea, di un film che viene proiettato nello stesso giorno in più sale. 2. a. Apparizione, immagine o scena del tutto straordinaria, che si vede, o si crede di aver visto, in stato di estasi o di allucinazione, o in situazioni e per cause miracolose e soprannaturali, oppure anche in sogno: una ragazza che dice di avere avuto la v. della Madonna; le v. degli asceti, dei profeti; soffrire di visioni, avere delle v.; in sonno gli apparve una v.; appresso questo sonetto apparve a me una mirabile v. (Dante); nell’uso ant., contrapposta a sogno, col sign. di apparizione veritiera: disse quel che Talano veduto aveva dormendo non essere stato sogno ma visione (Boccaccio). In partic., nella storia e nella tradizione delle religioni, si distingue tra v. spontanea, mandata da Dio o da esseri divini o soprannaturali (la v. di s. Paolo), e v. indotta, raggiunta con tecniche estatiche, con la contemplazione mistica, o anche per mezzo di allucinogeni; v. beatifica o v. intuitiva, nella concezione cristiana, la visione di Dio che i beati hanno nel paradiso. b. Opera letteraria o teatrale che ha per tema fondamentale una visione: le v. medievali (la v. di Carlo Magno, con tradizione raccolta da Eginardo); la v. dantesca, la Divina Commedia; come titolo: L’amorosa v., del Boccaccio; Visioni, di A. Varano. c. spreg. Fantasticheria priva di reale fondamento, utopia, progetto irrealizzabile: ma queste sono v.!; il suo non è un progetto di riforma sociale, è una visione. d. Vista, spettacolo che colpisce in modo particolare, sia positivamente sia negativamente: questo panorama, o quella scena, è una v. indimenticabile, meravigliosa; aperta la porta, si presentò ai nostri occhi una v. raccapricciante. 3. fig. Modo di vedere, concetto o idea personale che si ha in merito a qualcosa: avere una v. esatta, o inesatta, errata, di un fatto, di una situazione; tu hai una v. distorta della realtà; mi sono fatto una v. chiara del problema; ha una v. tutta sua della vita.