vocabolo
vocàbolo (ant. vocàbulo) s. m. [dal lat. vocabŭlum, der. di vocare «chiamare»]. – 1. Ciascuna parola considerata come unità lessicale autonoma, in quanto cioè esprime uno o più significati, e ha una forma grammaticale e una grafia determinata (è sinon. di parola e voce, più generici e d’uso corrente, e del termine tecn. linguistico lessema): una lingua ricca di vocaboli, un dialetto povero di v. astratti; cercare un v. nel dizionario; il significato, l’uso, l’origine, la storia di un v.; «iecur» è un v. latino che significa «fegato»; G. D’Annunzio richiamò in vita molti v. antiquati; usare v. scelti, elevati, ricercati, dotti, letterarî, o familiari, espressivi, dialettali, popolari, plebei; il v. che hai usato non è forse il più esatto. 2. ant. a. Il nome proprio (o toponimo) di una località o in genere di un ente geografico: perché nascose Questi il vocabol di quella riviera [il fiume Arno] ...? (Dante); è ancora usato, raramente, per introdurre la denominazione di una località di campagna scarsa o priva di abitazioni: un podere in vocabolo Il Vento; una boscaglia presso il fiume in v. Buon Riposo. b. Più specificamente, nome dato talvolta alla minima unità toponomastica (più piccola cioè della frazione): Vocabolo Olmo, in prov. di Perugia; Vocabolo Marmore, in prov. di Terni. Cfr. nomignolo. ◆ Dim. e spreg., poco com., vocabolùccio; accr. vocabolóne; pegg. vocabolàccio, vocabolo brutto, da non usare: non arricciare il naso, poeta mio, sentendo questi vocabolacci che i vostri dizionari forse non registrano (Capuana).