voglia
vòglia s. f. [der. di volere (come doglia da dolere, vaglia da valere)]. – 1. Sinon. letter. o raro di volere1, volontà: Perché recalcitrate a quella voglia A cui non puote il fin mai esser mozzo (Dante), alla volontà di Dio. Nel linguaggio com. può usarsi invece di volontà, con tono più fam. e meno impegnativo, in alcune espressioni che si riferiscono alla buona o cattiva disposizione a fare qualche cosa: un ragazzo che ha, non ha v. di studiare (volontà in questo caso indicherebbe una determinazione più decisa e più consapevole); lavorare, studiare di buona, di cattiva v. (con valore più generico: sentirsi di buona, di mala v., in buona o cattiva disposizione d’animo; stare di buona v., di buon animo, di buon umore); fare qualche cosa contro v. (o, con grafia unita, controvoglia), malvolentieri; a sua v., non com., secondo la sua volontà. Per i buona voglia, vogatori volontarî nelle galee, v. buonavoglia. 2. a. Spinta o impulso a soddisfare un desiderio o un bisogno, sia dipendente in maggiore o minore misura dalla volontà: il cicognin che leva l’ala Per voglia di volare (Dante); E se mia v. in ciò fusse compita, ... Ancor m’avria tra’ suoi bei colli foschi Sorga (Petrarca), se il mio desiderio fosse esaudito; basta spesso una v., per non lasciar ben avere un uomo (Manzoni); sia non necessariamente dipendente dalla volontà: ha natura sì malvagia e ria, Che mai non empie la bramosa voglia, E dopo ’l pasto ha più fame che pria (Dante); Or ecco ch’una donna ha in man le chiavi D’ogni tua v. (Poliziano). Tra le espressioni più frequenti nell’uso: avrei v. di fare una passeggiata, di bere un bicchier d’acqua, di mangiare un bel piatto di spaghetti; a sentirlo mi viene v. di ridere; il prosciutto mette v. di bere; quello che tu mi dici di lui mi fa crescer la v. di conoscerlo; non ho v. di scherzare; non mi sento la v. di parlare; mi ha invitato a giocare con lui, ma io non ne ho v.; morire dalla v. di qualche cosa, averne fortissimo desiderio; cavarsi, levarsi la v. di qualche cosa, soddisfare pienamente il desiderio; restare con la v. in corpo, col desiderio insoddisfatto. Con accezioni o connotazioni negative: un ragazzo pieno di voglie, di capricci; Ché voler ciò udire è bassa v. (Dante); con riferimento al desiderio sessuale, d’amore: I’ fui colui che la Ghisolabella Condussi a far la v. del marchese (Dante); più spesso al plur.: la costrinse con la forza a cedere (o a sottomettersi) alle proprie v.; recare alle tue v. una donna più selvatica di Penelope? (Leopardi). b. In ostetricia, fenomeno della gravidanza, di natura neurovegetativa, consistente nel desiderio, per lo più ripetuto, di cibi o di sostanze particolari: le è venuta la v. di fichi, proprio fuori stagione. c. In usi region. e fam., piccola quantità di un cibo o di una bevanda (quanto basta per levarsi la voglia): me ne dia una v., di parmigiano, ho già mangiato troppo; una v. di grappa la prendo anch’io. 3. Nome dato, nell’uso corrente, ad alcune macchie discromiche cutanee, per lo più di colorito rosso vinoso, che secondo un pregiudizio popolare prenderebbero origine da voglie insoddisfatte della madre durante la gravidanza (si tratta in realtà di particolari tipi di angiomi e nèi cutanei): ha una voglia di fragola sulla guancia destra; scherz.: non ci pensare, sennò il figlio lo farai con la voglia. ◆ Dim. vogliétta, soprattutto con riferimento a capricci di bambini; non com. voglierèlla, vogliolina, vogliuzza; pegg. vogliàccia.